Un altro successo per Erdogan

Di Michele Marsonet

La sconfitta dell’esercito armeno nell’ultimo conflitto con gli azeri per il controllo del Nagorno Karabakh rappresenta l’ennesimo successo della politica estera di Recep Tayyip Erdogan. Dopo che gli armeni, forti dell’appoggio russo, avevano vinto le precedenti guerre, ora l’Azerbaijan ha prevalso in virtù dell’intervento turco, che ha di fatto ridisegnato i confini precedenti.
In questo caso Vladimir Putin ha preferito svolgere il ruolo del mediatore inviando truppe russe in loco per vigilare sull’accordo firmato dai contendenti. Accordo accolto con entusiasmo a Baku dove la popolarità del presidente azero Ilham Aliyev è alle stelle, e con costernazione a Erevan, dove la folla ha aspramente contestato il premier armeno Nikol Pashinyan occupando e vandalizzando la sede del Parlamento nazionale.
Per Erdogan si tratta di un altro successo ottenuto con le forza delle armi e con un intervento militare all’estero, dopo quelli in Siria e in Libia. Sempre rasentando lo scontro diretto con Mosca che, evidentemente, non intende rompere i rapporti con il leader turco per incoraggiare le sue pulsioni anti-occidentali. Favorita anche dall’attuale caos istituzionale negli Usa dopo le recenti elezioni presidenziali.
Pure gli ultimi avvenimenti nel Caucaso ci riportano alla vera natura del progetto di Erdogan, che contempla un mix di islamismo tradizionale e nazionalismo turco. Nonostante le apparenze, è quest’ultimo a prevalere, giacché Erdogan non rinuncia al sogno di riportare in vita – pur adattandolo al tempo presente – l’impero ottomano.
Sembrerebbe un’utopia priva di fondamento ma, a ben guardare, vi sono elementi che possono far pensare alla sua realizzabilità. Occorre solo tener conto che le lingue di ceppo turco, e le culture ad esse correlate, non sono diffuse soltanto nel territorio nazionale, ma anche in molte aree asiatiche tra cui l’Azerbaijan, il Turkmenistan, il Kazakistan e altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Parlano una lingua turca anche gli uiguri dello Xinjiang, popolazione musulmana le cui tendenze indipendentiste vengono duramente represse dal governo cinese.
Erdogan sfrutta questa situazione promuovendo l’espansione culturale turca tra le popolazioni turcofone stanziate al di fuori dei confini nazionali, e finanziando al contempo la costruzione di moschee nei Paesi che le ospitano. Notevole anche l’opera di proselitismo tra gli emigrati nelle nazioni europee, in primo luogo la Germania, e in Paesi come l’Albania che, anche dopo l’indipendenza, hanno conservato un forte legame con Istanbul.
Di conserva promuove la rivalutazione delle grandi vittorie, militari e politiche, conseguite dall’impero ottomano. In primo luogo la cancellazione dell’impero bizantino con la conquista di Costantinopoli, ribattezzata Istanbul, e poi la vittoria ottomana su francesi e inglesi a Gallipoli durante la prima guerra mondiale (l’episodio bellico, per inciso, che rese celebre Ataturk).
Tuttavia anche le sconfitte ottomane vengono viste quali occasioni di rivincita postuma, per esempio la battaglia di Lepanto, la mancata conquista dell’isola di Malta difesa dai cavalieri di San Giovanni e la sconfitta delle truppe ottomane giunte sotto le mura di Vienna nel 1683. Erdogan, insomma, ha in mente la “grande Turchia” identificata con l’impero ottomano e, non a caso, in un discorso ha detto: “siamo una grande famiglia di trecento milioni di persone dall’Adriatico alla Grande Muraglia cinese”.
Questo progetto panturco è stato per molti anni supportato da un’economia in costante crescita, e da una potenza militare rimasta intatta anche dopo l’epurazione di alti ufficiali seguita al fallito golpe del 2016. Ed è la base dell’attuale diffidenza turca nei confronti dell’Occidente e della Nato, alleanza di cui la Turchia fa tuttora parte ma con un profilo assai più defilato rispetto al recente passato.
Il problema è che l’economia di Ankara, dopo il succitato periodo di crescita, versa adesso in forte crisi (e non solo a causa del Covid). La lira turca ha subito una pesante svalutazione rispetto al dollaro, e la disoccupazione è cresciuta in maniera considerevole. Anche perché la pandemia ha penalizzato moltissimo il turismo, da sempre fonte di grandi introiti per le casse dello Stato.
Occorre dunque chiedersi sino a che punto le ambizioni di neo-ottomane di Erdogan siano realmente fondate. La Turchia è diventata una grande potenza regionale, ma per trasformarla in potenza globale ci vuole ben altro. Erdogan in fondo lo sa, e infatti cerca di bilanciare l’allentamento delle relazioni con l’Occidente rafforzando i rapporti con Russia, Iran e Cina (nonostante la persecuzione degli uiguri turcofoni da parte di Pechino).
Inoltre il leader turco ha 66 anni, e per ora non sono comparse nel suo partito AKP (“Giustizia e Sviluppo”) personalità altrettanto carismatiche in grado di portare avanti le sue ambizioni globali. Senza scordare che in Turchia c’è la stessa dicotomia città/campagne rintracciabile in molti Paesi – anche europei – come Polonia e Ungheria. Le campagne anatoliche votano Erdogan in blocco, mentre le grandi città come Istanbul e Smirne gli sono in maggioranza ostili. E anche questo è un segnale che il suo sogno neo-ottomano potrebbe presto finire.

Michele Marsonet

Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Scholar” presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), e di New York (U.S.A.).
– È attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Filosofia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Prorettore all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova.
– È Fellow del New College dell’Università di Oxford (U.K.), e del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– È stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri tra cui: City University of New York, Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), Melbourne (Australia), Oxford, Londra, Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna).
– È autore di 26 volumi e curatele, di cui 4 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti e Gran Bretagna, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere.
– È giornalista pubblicista.