Madrid come Milano: si costruiscono ospedali senza porsi il problema di chi dovrà lavorarci. Gli infermieri spagnoli contro il trasferimento forzato

Di Andrea Sparaciari

Cambiano le nazioni, ma i problemi di gestione del personale da utilizzare nelle strutture concepite per l’emergenza Covid restano i medesimi. Se a Milano, Italia, l’Ospedale in Fiera voluto e poi rinnegato da Guido Bertolaso non decolla – a oggi, nonostante l’impennata di ricoveri che sta mandando in tilt gli ospedali, al Portello si contano meno di 20 letti occupati – e i medici anestesisti minacciano lo sciopero, a Madrid, Spagna, si sta vivendo la medesima situazione.

A mettere in forse l’apertura della nuova struttura ospedaliera “Infermiera Isabel Zendal” in calendario per sabato prossimo, il rifiuto del sindacato degli infermieri del “trasferimento temporaneo obbligatorio” del personale nel nuovo nosocomio.

Nell’ospedale madrileno – un gigante da 7.400 metri quadrati, con 1.080 posti letto, divisi in 20 unità operative, cui si aggiungono 48 letti di terapia intensiva, costato 50 milioni di euro – infatti non ci vuole lavorare nessuno. A regime, dovrebbe ospitare 6 mila sanitari, tra i quali 1000 medici e 5 mila infermieri. E proprio gli infermieri ieri hanno puntato i piedi.

In una lettera, che secondo quanto riporta “El Paìs”, in poche ore ha raccolto oltre 2.000 firme, i sanitari iscritti al sindacato Satse hanno sottolineato come “gli infermieri dei centri sanitari, dove già si registra una preoccupante carenza di personale, saranno costretti a lasciare il posto di lavoro, per essere trasferiti in maniera del tutto arbitraria e discrezionale all’Infermiera Isabel Zendal”. Secondo i sanitari mancherebbero programmazione e, soprattutto, rassicurazioni circa la continuità sanitaria negli ospedali di origine. Sempre per il sindacato, molti operatori sanitari del Servizio Sanitario di Madrid (Sermas) si oppongono al “trasferimento forzato, alla riduzione del personale negli attuali centri di lavoro in quanto le loro condizioni di lavoro non sono rispettate”.

Insomma, l’apertura del nuovo ospedale per il sindacato avrebbe “gravi conseguenze” che potrebbero incidere negativamente sulle condizioni di lavoro del personale interessato dal trasferimento, nonché dei colleghi che rimangono negli ospedali di appartenenza, aggravando così la già “precaria” situazione in cui versano i loro reparti, a causa della mancanza di personale” e della “pessima politica delle risorse umane attuata dall’amministrazione”.

Inoltre, lo spostamento potrebbe avere un impatto “negativo” sulla qualità dell’assistenza che verrà data agli utenti della sanità pubblica, dove si registreranno “l’allungamento delle liste di attesa, ritardi nei test, sospensioni di interventi chirurgici”, il tutto con “professionisti fisicamente e mentalmente esausti”, conclude il sindacato.

Rivendicazioni che ricalcano, pari pari, quelle dei sanitari che Regione Lombardia ha in animo di precettare per rifornire la Fiera di Milano del personale necessario. Tra le due strutture, però, esiste una gigantesca differenza: mentre l’ospedale di Madrid è stato pensato per accogliere i pazienti Covid positivi, ma non gravi, lasciando le terapie intensive negli “ospedali veri”, quello di Milano è stato pensato per ricevere solo pazienti intubati.

Una scelta che in questa seconda ondata si è rivelata drammatica, perché l’assessorato al Welfare della Regione Lombardia ha passato gli ultimi 10 giorni a ingegnarsi (senza esserci ancora riuscito, per altro) per recuperare anestesisti e infermieri da dirottare nell’Astronave del Portello. In meno di una settimana ha emesso ben due Delibere (21 ottobre e 16 ottobre) con le quali: prima chiedeva a sette ospedali hub di fornire ciascuno 10 anestesisti e 48 infermieri specializzati ognuno, per seguire 16 posti letto al Portello. Poi, vista l’impossibilità di rispondere da parte dei 7 ospedali, chiedeva a tutte le strutture sanitarie accreditate, pubbliche e private, della regione di fornire personale. Ma anche questo secondo documento è stato vano.  E il motivo è chiaro: nessun ospedale oggi è in grado di distaccare fisicamente personale, immobilizzandolo in una struttura costruita lontana da un ospedale vero, senza rimanere sguarnito. E, se lo facesse, sarebbe costretto a chiudere servizi e reparti. Una situazione che il Pirellone ha deciso di “sanare” minacciando di “ordinare” a medici e infermieri di recarsi in Fiera coattivamente. Una minaccia che ha spinto il sindacato dei medici anestesisti Aroi-Emac a dichiarare lo stato di agitazione. Una cosa inaudita e imprevedibile durante una pandemia.

Da BUSINESSINSIDERITALIA

#AndreaSparaciari

Andrea Sparaciari è il responsabile della cronaca milanese del quotidiano “Metro”, inoltre collabora regolarmente con il sito di inchiesta “Business Insider” e con “Il Fatto Quotidiano”. Durante il periodo di emergenza Coronavirus pubblica diverse inchieste per far luce sulla “Questione Lombardia”. Ha scritto per numerosi quotidiani e periodici, tra i quali “La Repubblica”, “Affari&Finanza”, “Famiglia Cristiana”, “Quattroruote” e “Yacht Capital”. Èstato il direttore responsabile del mensile “Soho”.