Di Mario Rigli
Si può chiamare amica un’auto? Una cosa fatta di acciaio, plastica e lamiera? Non di carne ed anima?
Certamente. Lei lo era, lo era veramente.
Il suo nome è, anzi era, Astra. Si, la mia amica non era solo solita percorrere strade, ma solcare anche le stelle. Vecchia però lo era certamente. 24 anni non sono tanti per un umano, ma lo sono per una macchina.
E lei era veramente amica, per come mi è pervenuta, per come mi ha aiutato in un periodo oscuro della mia vita.
Ve lo racconto.
Avevamo dovuto vendere in fretta la nostra casa per non lasciarla alle banche. Quello che ne avevamo ricavato era stato sufficiente appena a saldare il mutuo e a coprire altri debiti.
Avevamo dovuto chiudere due negozi di antiquariato, uno al Borro e uno a Terranuova e un laboratorio di restauro a San Giustino. Era il periodo delle Limen Brothers e allora non c’erano ristori, né bonus, nemmeno un monopattino.
Siamo tornati in affitto, ma senza lavoro non riuscivamo a pagarlo. Come un cane in chiesa, coprendomi il volto dalla vergogna, e ancora le mascherine non esistevano, sono andato dall’assistente sociale del Comune. Ho ottenuto una protesi dentaria quasi gratis e un grande contributo per l’affitto. Ma non è bastato, siamo stati sfrattati lo stesso. Lisa ha fatto la badante ed io l’ortolano per un anziano contadino di Vaggio che ci ha permesso di abitare in un pezzetto di quelle che una volta erano le stalle. Le ha rimesse per noi, però.
Cominciavamo a respirare, quando proprio nell’aia ci hanno rubato la macchina, una utilitaria, una ipsilon. Ci rimaneva il furgone, dal nostro lavoro precedente, un renault master, ma non era troppo agevole andare comprare le sigarette o lo zucchero con un furgone. E poi Lisa non lo guidava proprio.
Ed ecco arrivare la nostra amica, ecco l’Astra. Ecco questo nuovo arrivo, direttamente dalle stelle.
Un amico che sa dell’accaduto mi chiama.
– Mario ho una macchina vecchia che ti posso regalare –
Non dirò mai, nemmeno sotto tortura, chi è questo mio amico. Solo qualche indicazione. E’ mio amico da sempre, fin da bambini. I miei nonni materni abitavano proprio sopra la sua famiglia. Abbiamo fatto tutte le scuole insieme, dalle elementari all’Università, abbiamo fatto i campeggi di Don Felice insieme, insieme abbiamo vissuto Il Convento e la politica, siamo ancora insieme ne La Combriccola. Lui è stato anche il sindaco del mio paese.
Lisa ed io ci siamo commossi fino alle lacrime, racimoliamo i soldi per il passaggio e l’Astra diviene nostra. Ora anche lei può spostarsi dalla campagna per tutte le necessità. E questa vecchia amica che starnutisce e sbuffa comincia ad accompagnarci nella vita. E’ forte come un mulo, spaziosa come un furgone.
Poi, dopo un mese circa, ci chiamano i carabinieri. E’ stata ritrovata la ipsilon.
– E ora come facciamo a pagare tre bolli, tre assicurazioni? –
Cedo il furgone ad un mio amico del Marocco per poco più del passaggio e ci teniamo l’Astra.
Con lei, anche senza il furgone, ci possiamo fare i nostri traslochi, possiamo fare qualche mercatino della merce che ci è rimasta, possiamo portare la mia verdura in eccedenza alla Caritas. E’ lei che ho prestato ad un mio vicino quando la sua ha preso fuoco, lei aiutava mia sorella nei mercatini.
E’ lei che mi permetteva di muovermi, in qualche modo, quando Lisa con la ipsilon andava al mercato o alla coop o a trovare sua figlia. Lei, tranquilla, mi aspettava senza pretese. Si faceva caricare all’inverosimile e, sebbene sbuffando, faceva ancora centinaia di chilometri. Ma anche l’utilitaria cominciava ad avere problemi e gli incentivi per una macchina nuova erano notevoli. Mantenendo lo stesso prestito potevamo darla indietro, rottamare l’Astra ed avere anche una differenza in contanti.
Ci ho pensato più giorni, ero tormentato, poi mi sono deciso. Ho pensato che di lì a qualche mese avremmo dovuto rottamarla comunque e a nostre spese, non poche. Per la verità ho provato a regalarla a qualcuno, ambulante, artigiano. Niente da fare, era troppo vecchia.
Quando la macchina nuova è arrivata, sempre una ipsilon, ma rosso fiammante, con una angoscia che mi opprimeva, mi sono messo per l’ultima volta alla guida dell’Astra. Nell’officina del concessionario ho chiesto di togliere l’autoradio. Mentre aspettavo e osservavo quella strana operazione che le toglieva anche la voce e le recideva le corde vocali, ho sentito il fragore di urti metallici. Era lo spazio rottamazione. Macchine giovani che avrebbero avuto davanti a loro ancora molti anni. Gli incentivi avevano decretato la loro sorte.
– Ed io ho pensato che non sapevate guidare! – ho detto ai due ragazzi della rottamazione
– ho sentito due urti in cinque minuti –
– No, qui non si bada ai tamponamenti! –
Alcune macchine non entravano più in moto e con quelle che lo facevano, spingevano le altre in un piazzale adiacente.
– La mia è molto più vecchia, ma entra bene in moto –
– dipende dalla batteria –
– la mia e nuova –
– allora non entrerà più in moto, quelle buone l’officina le toglie e se le prende –
Mi sono sentito male! Mi dispiaceva soltanto immaginare la mia Astra spinta a forza verso la fine. Non avrei sopportato vedere quel braccio meccanico che la sfondava e la trasformava in un cumulo informe di acciaio per poi essere caricata in un camion insieme ad altri cumuli. Non avrei visto quelle ganasce all’opera, nè il depositarla sul camion per il viaggio verso la fonderia.
L’ho guardata a lungo, ho accarezzato il volante e poi sotto voce:
– Ciao amica mia, ti voglio bene, grazie per tutto quello che mi hai dato. Tornerai a viaggiare le strade con altra lucentezza ed altro aspetto –
Ciao Amica mia
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