Quel giorno, 40 anni fa

Di Marco Molendini

La pistola di Mark David Chapman mi ha svegliato di mattina presto. Presto per i miei orari di giornalista. Un risveglio brusco, il telefono di allora aveva uno squillo penetrante, che uccide.
«Pronto..».
Dall’altra parte c’è una voce flebile che conosco, è quella del mio amico e allora mio caposervizio Gigi Vaccari, ha un tono funeralizio e non mi dice nemmeno ciao:
«Marco, hanno sparato a John Lennon».
Gigi, non mi prendere in giro, sto dormendo.
«Corri al giornale» insiste. No, non sta scherzando.
Ma è morto?
«Si, un pazzo gli ha sparato sotto casa. Vieni che dobbiamo organizzare le pagine, saranno almeno due».
Non è un fatto abituale, a quei tempi, fare due pagine per le cose di musica. Ma l’assassinio di John Lennon non è un fatto di musica, c’è di tutto dentro: musica, certo, costume, politica, violenza, turbamenti psichici. C’è l’idolo che viene abbattuto, c’è la storia dei Beatles, c’è il pacifismo di John e Yoko, c’è il fan che diventa assassino.
Ci ritroviamo in redazione in quattro, Gigi, io, Paolo Zaccagnini e Fabrizio Zampa. Fabrizio, per allentare il clima, spara subito: «Ho già il titolo: Una pistola, ma non per Ringo».
Ma ci dobbiamo dare da fare sul serio. E lo facciamo dando inizio, noi come gli altri quotidiani, a una nuova epoca del giornalismo musicale. Da allora riempire le pagine sarà più facile. Non c’entra direttamente l’assassino di John, ma l’evento segna uno spartiacque. C’è il dramma, c’è la reazione collettiva, anche questa inedita e destinata ad aprire una stagione. Si scatena il flusso emotivo. Debutta un genere: il funerale diffuso, con il pellegrinaggio al luogo dell’assassinio e la trasformazione di quel luogo in una sorta di santuario. Succederà di nuovo da allora in poi, molte volte. Il rito funeralizio si trasforma in uno spettacolo e non smetterà più di esserlo. E, intanto, John Lennon diventa un mito. Forse lo era già, ma quei cinque colpi sciagurati, sparati da uno sballato lo hanno reso immortale. Immaginiamolo oggi a 80 anni, stanco, invecchiato, non tinto come il suo partner Paul McCartney, che forse prova ancora a fare qualche disco. Immaginiamolo coi capelli bianchi e la mascherina anticovid che accudisce la moglie Yoko Ono, più grande di lui di sette anni, e che oggi ha bisogno di assistenza continuata. Immaginiamolo e riascoltiamolo, riandando a quel giorno tremendo che in Italia era ancora notte.
Un giorno pieno di impegni nella vita dei Lennon.
John si è alzato di buon umore quella mattina, la sua ultima mattina.
Alle 11 Anne Leibovitz bussa all’appartamento con quattro camere da letto e uno splendido affaccio sul parco, al settimo piano del Dakota building. È armata di macchine fotografiche. Deve fare un servizio per la rivista Rolling Stone. Un servizio destinato a diventare storico, non solo perché precede di poche ore il tragico epilogo, ma perché contiene uno degli scatti più celebri della storia del rock: Lennon nudo che abbraccia la moglie steso sulla moquette del pavimento.
Alle 12 Paul Goresh, un amico di John, si presenta al Dakota e scambia due parole con uno strano tipo che si è piazzato all’ingresso dell’edificio con in mano una copia di Double fantasy, il disco appena uscito: è Mark David Chapman.
Alle 12,40 arriva una troupe della Rko radio per intervistare Lennon a proposito del nuovo album.
Alle 16,30 John e Yoko escono da casa con la troupe della Rko per andare al Record Plant studio a Midtown dove devono lavorare al singolo Walking on thin ice, destinato a un album di Yoko. Chapman, che è ancora lì ad aspettare, si avvicina a Lennon, con la sua copia di Double Fantasy Paul Goresh lo spinge fisicamente e lo incita: “Dai, è il tuo momento. Sei qui che aspetti da tutto il giorno, sei venuto dalle Hawaii… vai a prenderti il tuo autografo!”. Lennon prende il disco, lo firma, alza lo sguardo e dice a Chapman: “E’ tutto? Vuoi qualcos’altro?”. Intanto, Paul Goresh scatta un paio di foto di Lennon e del suo assassino.
Alle 17 i Lennon arrivano agli studi e si mettono a lavorare alla nuova canzone con il producer Jack Douglas. John partecipa suonando le parti di chitarra con la sua storica Rickenbacker 325, lo strumento usato nelle registrazioni di Please Please Me, From Me To You, She Loves You. Il testo, scritto da Yoko, dice: Posso piangere un giorno/ma le lacrime si asciugheranno comunque/ e quando i nostri cuori ritorneranno cenere/ questa sarà solo una storia».
Alle 22,50 il lavoro in studio è finito, John e Yoko scendono da una limo che li ha riaccompagnati al Dakota,hanno deciso di fare ritorno a casa invece di andare direttamente a cena per dare la buonanotte a Sean prima di recarsi allo Stage Deli sulla settima. Chapman è ancora lí, li aspetta con il disco in mano, ora autografato. Appoggia Double Fantasy suu a fioriera, tira fuori una pistola Charter Arms 38 special, comprata sei settimane prima in una svendita, e spara cinque volte. Colpisce John quattro volte, tre proiettili trapassano il polmone sinistro e l’arteria succlavia sinistra. Il quarto resta conficcato nell’aorta. John, ferito, fa qualche altro passo, cerca riparo salendo cinque gradini all’interno del palazzo, grida “I’m shot, I’m shot”, poi crolla a terra lasciando cadere i nastri con la registrazione appena fatta al Record plant. Yoko, terrorizzata, grida «Hanno sparato a John». Il portiere chiama la polizia mentre un’ambulanza trasporta Lennon al vicino Roosevelt hospital sulla 59 ma strada. Chapman dichiarerà: «Ho sentito qualcuno nella mia testa che diceva fallo, fallo, fallo. Volevo essere importante, volevo essere qualcuno».
Alle 11,15 il responsabile del pronto soccorso si avvicina a Yoko e le comunica che ogni tentativo di rianimare John è fallito, all’ospedale è già arrivato morto. Lei ha una crisi, rifiuta di accettare la morte del marito: «Non è vero, non ti credo, sei un bugiardo», fa al medico. Poi superata la crisi chiede ai dottori di aspettare ad annunciare la morte di Lennon per darle tempo di preparare Sean.
Alle 11,32 (le 5,32 del 9 dicembre in Italia) La notizia viene resa pubblica dalla Abc interrompendo una partita di football americano.
(Pezzo pubblicato da Dagospia)

Marco Molendini una delle firme più prestigiose di questo secolo.Giornalista e critico musicale di lunga esperienza, è una delle firme di punta del Messaggero. Dal 1981 al 1995 è stato redattore capo del servizio Spettacoli de “Il Messaggero”. Dal 1982 al 1992 ha condotto rubriche radiofoniche: Radio 2 Jazz, Radio 1 Jazz.
E’ autore di libri: una biografia di Caetano Veloso, di Fratelli Brasile, doppio racconto sul rapporto fra Veloso e Gilberto Gil, del libro fotografico “Le strade del cinema portano a Roma”. Autore televisivo con Renzo Arbore del programma di Raiuno “Speciale per me”.
Non ha mai interrotto la sua collaborazione con il quotidiano Il Messaggero, per cui ora è inviato.