SONO DUE ANNI ORMAI CHE CI MANCHI GORAN

DI MARIO RIGLI

 

Confesso signor giudice
sapesse quante volte
ho lanciato su nel cielo
tutte le mie biglie
erano a colori
palline per fucile
mi avrebbe incarcerato
come l’unico dei vili
….Sapesse signor giudice
quanti a prima vista
per le mie poesie
mi credettero un artista
componevo le parole
sia detto senza inganno
ma chissà in quanti cuori
ho provocato un danno.
Le parole di una canzone che Goran ha musicato. Parole di un grande poeta costretto ad attraversare guadi insidiosi ed appiccicose paludi, che Goran ha innalzato nelle nuvole con la sua musica.
E’ da lui, da questo poeta, che ho appreso la notizia che Goran non era più fra noi. E allora con lui, con il mio amico poeta, mi sono detto quanto di merda possa essere la vita. Tu medico di professione, perché il tuo talento vero, forse non ti dava da vivere, sapevi quello che avevi dentro. Sapevamo in pochi della tua malattia, ci soffermavamo su fatti minimali, come quando non potevi uscire di casa, bloccato dalla neve, o pensavamo al tuo cruccio di esser passato quasi inosservato nelle nuove generazioni. Soffrivamo con te per il tuo malessere a non pestare forte con le tue impronte, ma tu pestavi pesante, incidevi, ma la gente spesso non capisce, non si fa sabbia o terra friabile. E mi sono ricordato del tuo nome strano, del tuo cognome ancora meno pronunciabile, della tua barba e del tuo sorriso, del tuo impegno e della tua professionalità.
“Porta la scala, che si potrebbe esplorare il cielo” dicevi, ed eri convinto che Dio suonasse la chitarra. E tu la suonavi da Dio, anzi, Dio forse usava il plettro, tu no, tu pizzicavi con le unghie e i polpastrelli.
E stasera sei vicino a Lui, non a prendere lezioni, nessuno nemmeno Dio ti può insegnare a pizzicare le corde, stasera pizzichi le nuvole per noi.
Stasera ancora una volta scriverai una canzone
che come una figlia si metterà a giocare
tu chiuderai gli occhi, la lascerai fare
e poi volerai più in là.
Ah amico mio salutami Ivan in questa tua prima ricognizione.