Di Mario Rigli
Quando ho aperto FB questa mattina, nella home mi è apparso un post di un mio amico, il sindaco del mio paese, con la foto della copertina del libro di Paolo Rossi.
– Dio mio cosa è successo? –
Apro nelle notizie. La mia paura si è materializzata davvero. Pablito ci aveva lasciati.
Sono rimasto mezzo tramortito per alcuni minuti. La botta era davvero tremenda. Paolino come lo chiamavamo in Valdarno, piuttosto che Pablito, aveva adottato la nostra terra e la nostra terra aveva adottato il campione. La sua umanità, la sua cordialità, la sua umiltà, il suo saper ascoltare e mettersi a disposizione, saltavano agli occhi. Era il suo presente, il suo essere uomo fra gli uomini, più che il passato di grande campione, la caratteristica più vera del vivere fra noi, nella nostra terra, il Valdarno.
L’ultima volta che l’ho incontrato, alcuni anni fa, eravamo al Borro. Ancora avevo il mio negozio di antiquariato nel villaggio turistico di Ferragamo. Paolo era in visita per raccogliere notizie e dritte sulla gestione di un resort.
Aveva acquistato una tenuta intorno a Cennina nella Valdambra.
– Mario – mi disse dopo che aveva visto il mio negozio – se ricaverò un piccolo locale nel mio nuovo ambiente, tu mi devi promettere di allestire almeno una vetrina da me –
– Certamente Paolo, molto volentieri. –
Ed io che volevo parlare del suo mondiale, dei suoi goal strepitosi! Ma lui era tornato, anzi forse era sempre stato “un ragazzo come noi” come dice Antonello.
Paolo è un nome comune, Rossi come cognome lo è ancora di più, da noi in Toscana, e lui non faceva assolutamente pesare di essere stato fuori dal comune per tutta l’Italia.
Il suo accento, aveva perso tutto del pratese, ora era valdarnese anche nella cadenza del dialetto.
…
Si, ero al corrente della sua malattia. Sapevo del suo intervento di qualche mese fa all’ospedale della Gruccia. Sapevo di quella bestia immonda che lo aveva pervaso. Ma non sapevo della sua gravità, non sapevo del suo recente ricovero alle Scotte.
E appena ho letto il post di Sergio, mi sono ricordato dell’anno scorso, della cena pre-natalizia con i ragazzi della Terranuovese. Doveva trovrarsi bene in quell’ambiente, i colori bianco-rossi erano gli stessi della sua Vicenza, della Lanerossi, anche le lane si chiamavano come lui, che portò in serie A e l’anno dopo seconda nel campionato. Si trovava certamente bene in quell’ambiente di ragazzi. Per loro era certamente un esempio, di sport e di vita.
Ho sempre pensato che se a Pablito fosse capitato di fare un goal con la mano, capitare ho detto non cercare, e può succedere che le mani difficilmente stiano attaccate al corpo mentre giochi, lui sarebbe andato immediatamente dal guardalinee a farsi annullare la rete.
Ed ora? ci manchi anche tu. I tuoi guizzi di un tempo e i capelli bianchi e la saggezza di ora.
Tu Paolo eri molto più giovane di me, ma io mi sento orfano lo stesso.
Ciao Paolino e grazie per gli attimi che ci hi regalato e che “sfuggono a tutte le logiche e sono di pura felicità” come ha scritto Sergio, grazie il tuo attimo durerà in eterno.
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