Perchè Paolo Di Mizio giustifica “l’incomprensibile” stop alle 18

Di Giorgio Consolandi –

I gestori di ristoranti e bar sono indignati e sconfortati dal provvedimento emanato dal governo, che li vede costretti a interrompere le attività tradizionali alle 18.

Tutti abbiamo temuto un nuovo lockdown, e sebbene questo non c’è stato, gli effetti del contenimento che hanno colpito le palestre (obbligate alla chiusura) e i punti di ristorazione, hanno scaturito una sensazione di cupezza nella popolazione.

un virus a tempo?

In molti si sono chiesti a cosa valga uno stop delle attività alle 18, interrogandosi se per caso il virus si attivi solo per il preserale. Alcuni hanno fatto battute su questa scelta e altri non hanno proprio compreso questa indicazione.

la coperta corta

Ancor prima di decretare le restrizioni, il governo ha comunicato di aver disposto un meccanismo risarcitorio tale da sopperire ai mancati incassi e di aver soppresso alcune “scadenze fiscali” che gravano sui costi delle imprese. Tutto ciò non è bastato ad evitare nelle ultime ore, vibrate proteste in varie piazze italiane. Anche se per moltissimi questo è apparso strumentale ed esagerato.

prendiamo atto

Restando però sull’argomento dello stop a orario, si ravvisa come da più parti ci si chieda quale criterio abbia determinato un ora di chiusura piuttosto che un’altra. La risposta è ovvia, e magari tra tutti quelli che esprimono stupore, una grande maggioranza ne ha ben chiari gli intenti. Perché non è che gli italiani siano realmente così scemi. Ma per coloro che non hanno capito vale la pena spendere qualche parola e spiegare. Per chi invece finge, strumentalizzando e infierendo contro lo Stato cattivo, solo per ragioni politiche/partitiche, non si può che “far spallucce” ed ammettere che tentare un percorso all’insegna della ragionevolezza, sarebbe tempo sprecato.

perché chiudere presto

Il nostro Paese non potrebbe sopportare una nuova chiusura, non potrebbe sopportarla perché l’economia delle famiglie e delle imprese non reggerebbe… Si deve però arginare il nuovo dilagare dei contagi, e la via più efficace è evitare assembramenti. Dissuadere quindi le uscite per l’aperitivo o per una cena fuori appare l’obiettivo da perseguire.
Ecco perché dalle ore 18 cessano i servizi in quelle attività dove si creano aggregazioni di persone. Nel contempo si è cercato di tagliare il male in due e consentire ai gestori di operare negli orari di minor affluenza di pubblico che continua ad accedere ai locali pubblici, “spalmato” nel corso della giornata.

Il quadro completo e chiaro di questo provvedimento e delle sue implicazioni è presentato da Paolo Di Mizio nel suo editoriale pubblicato su La Notizia:

 

Banalizzare non sarebbe opportuno, ma è lecito pensare che soffrire un pochino sia meglio che soffrire del tutto. A questo proposito occorre immaginare alternative più drastiche che avremmo potuto scegliere di attuare. Valutare se magari una nuova chiusura totale di tutte le attività sarebbe stata più idonea al caso.
Si sarebbe potuto anche ipotizzare di “girare la testa dall’altra parte” lasciando che le cose compissero il loro corso. La tanto ragionata “immunità di gregge” sarebbe stata accolta con maggior favore dai cittadini? Avremmo potuto continuare la nostra vita sperando che la lotteria del virus non ci penalizzasse. Ma poi al momento della conta dei morti, non avremmo accusato il governo di aver lasciato morire la gente per aver taciuto sulla gravità del momento?

In questo momento non sappiamo a cosa andremo incontro, non abbiamo elementi certi che possano farci valutare il fantasma di un nuovo lockdown o di un lockdown parziale. La risposta delle Borse è già sintomo di preoccupazione, perché quando i Mercati frenano arriva la percezione di un malessere di prossimo avvento. Avvolti nell’incertezza proseguiremo ad indossare mascherine ed osserveremo distanze sociali e ci contenteremo di bere il caffè del bar al mattino. E faremo questo tenendo le dita incrociate, sperando che il cretino di turno oggi abbia preferito restarsene a casa.

#GiorgioConsolandi

Giorgio Consolandi – Romano di nascita, apolide per istinto. Impegnato ideologicamente per il sociale, sento forte da sempre il dovere del perseguimento della giustezza e la difesa dei deboli. Contrasto con ogni mezzo i soprusi, sebbene consapevole che il concetto di società perfetta, rimarrà utopico.
Ateo perché rifiuto il concetto di creatore, pongo l’uomo al centro dell’universo e lo rendo responsabile delle sue scelte.
Mi interesso di politica poiché credo sia necessaria una visione ampia di tutte le attività umane e della regolamentazione di esse, sono tuttavia consapevole della fallibilità e dell’imperfezione della politica, più che disilluso, continuo ad essere un sognatore e lotto perché i sogni si concretizzino.
La scrittura come forma espressiva del pensiero ed il pensiero come strumento motore della scrittura mi inducono a raccontare i miei pensieri e le mie analisi personali, le critiche, le esaltazioni, le allucinazioni ed i miraggi che la vita mi infligge senza compassione e senza chiedere permesso.
Se cade il mondo io non mi sposto, cerco invece, in un esercizio vano e disperato, di trattenerlo ancorato alla logica ed alla ragione, al sentimento ed all’amore, ma sono sempre più solo.
Sostengo ed attuo la difesa degli animali, la loro tutela contro inutili sofferenze ed abusi.
Sono figlio degli anni ’60 e ne porto addosso emozioni e pulsioni che la mia generazione ha ricevuto. Ho coscienza di far parte di un segmento storico, giudicato con impietosa severità da chi ci ha succeduto. La mia generazione ha prodotto contraddizioni morali, etiche, religiose e anche sociali, ma ha determinato la crescita del Paese.
I miei J’accuse sono sassi gettati nel lago, lo so che qualcuno è sempre pronto ad accodarsi alla lotta, ne sono convinto!