LA STRAGE SENZA PACE. 50 ANNI DALLA BOMBA DI PIAZZA FONTANA CHE FERÌ PER SEMPRE L’ITALIA

DI MARINA POMANTE

Sono passati 50 anni dalla strage di Piazza Fontana. Una storia dai risvolti dolorosi, un attentato che ha condizionato mezzo secolo di vita italiana.
Quella bomba il 12 dicembre 1969 nella Banca nazionale dell’Agricoltura ha stravolto ogni cosa. La strategia della tensione ha dato l’avvio agli anni di piombo e chiuso nel sangue i sogni di un decennio. Vanificando la crescita economica del boom e i successi sindacali conquistati con gli scioperi dell’Autunno caldo. Si è passati alla crisi e alla stagione degli omicidi, rossi e neri, efferati in egual modo. Con quella parte di Stato che ha alimentato, gli scontri di piazza ed eclissato ogni giustizia. Tutto ciò ha portato ad una verità storica su quell’eccidio, che fu realizzato dai neofascisti veneti di Ordine Nuovo con innumerevoli depistaggi da molte parti dei servizi segreti, e che ancora oggi non esiste una responsabilità processuale: nessuno ha pagato per la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88.
Questa è considerata la madre di tutte le stragi, il
primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra, il momento più incandescente della strategia della tensione.
Un anniversario che induce a parlare di Piazza Fontana, per capire quanto sia importante comprendere 1 gli snodi di una vicenda tanto complessa e quanto sia importante fare chiarezza nei fili di questa trama.
Quel venerdì pomeriggio, nella banca, si ritrovavano imprenditori agricoli del milanese per chiudere i contratti con una stretta di mano, quella bomba dalla potenza incredibile, ha stravolto tutti i livelli della società italiana e inflitto un colpo irreparabile alla credibilità delle istituzioni. Con quell’atto, i mandanti, erano riusciti nel loro intento: la destabilizzazione dello Stato e la creazione di un clima di paura e incertezza nella gente.

Per vari aspetti si può addirittura parlare di una storia della Repubblica prima e dopo piazza Fontana. Gli attentati terroristici di quel giorno furono cinque, nel giro di 53 minuti, colpirono contemporaneamente Roma e Milano. A Roma ci furono tre attentati che provocarono 16 feriti, uno alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, uno in piazza Venezia e un altro all’Altare della Patria; a Milano, una seconda bomba venne ritrovata inesplosa in piazza della Scala.
Le indagini rivelarono che la strage venne compiuta da terroristi dell’estrema destra, collegati con apparati statali e sovranazionali, i quali però non sono mai stati perseguiti.

Ribaltando l’accusa della prima ora, che vide presentato all’opinione pubblica come colpevole dell’eccidio l’anarchico Pietro Valpreda e che costò la vita a un altro innocente, Giuseppe Pinelli.

Nel giugno 2005 la Corte di Cassazione ha stabilito che la strage fu opera di “un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine nuovo” e “capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura” non più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo dalla Corte d’assise d’appello di Bari. Gli esecutori materiali sono ignoti.

C’è l’esigenza di tenere vivo il ricordo, per tutte le vittime e i superstiti fino ai familiari stessi che non hanno ancora avuto giustizia. Un archivio processuale lungo 50 anni, come se l’onda d’urto dell’ordigno di quella sala cilindrica, riesplodesse ogni volta che quelle carte processuali trovano riparo nei cassetti impolverati di quella giustizia che non vuole emergere e favorisce l’ambiguità di un’Italia che nuota nella fanghiglia, dove sabbie mobili trascinano verso l’abisso il valore della verità.