La mia Genesi

Di Mario Rigli

Erano diversi anni che non mettevo mano ad un opera così impegnativa. Sia per le dimensioni (un metro e sessanta per un metro e dieci), sia per il discorso da portare avanti. Sia per la tecnica usata. Chi conosce la china ed il pennino sa quanto sia lungo dipingere a forza di milioni di piccoli tratti e di puntini, sa quanto sia complesso definire delle ombre e dei chiaro scuri solo puntinando più o meno. Ma è stato il sapore della committenza, il sapore quasi di una committenza rinascimentale che mi ha fatto concludere l’opera. Va da se che i committenti siano amici e anche di più, ma quel misto di indicazioni e di libertà lasciato all’artista rinascimentale l’ho sentito anch’io sulla mia pelle ed è stato esaltante. La differenza è che nella mia “bottega” ci sono solo io e non esistono apprendisti , ma come nella bottega rinascimentale questa si trova al primo piano della mia abitazione come le botteghe della Firenze del 1400. Infatti ho dipinto nella sala da pranzo o nel salotto o nella terrazza dove esisteva momentaneamente dello spazio utile a poter lavorare. Ma in fondo non è vero, nel mio lavoro ci sono i preziosi consigli di Lisa, come i miei sono presenti, anche troppo, nel lavoro suo. I committenti, amici e fratelli, sono di Roma. Il lavoro sarà collocato in un ufficio commerciale della stessa città. Già queste prime indicazioni hanno indirizzato il lavoro. L’opera non poteva che avere caratteristiche di estrema modernità, ma al tempo stesso doveva lanciare un messaggio fruibile a tutti coloro che avrebbero veduto la grande tavola e quindi non poteva esimersi da elementi classici nella composizione della stessa. L’Ufficio è fresco di nascita, nuovissimo, ancora da completare nell’arredamento. Sta fiorendo come un giardino dell’Eden e i committenti, novelli Adamo ed Eva, lo stanno gestendo come i nostri progenitori, con la cura pignola ed indispensabile che si deve ad ogni pianta, ad ogni fiore, ad ogni cespuglio, ad ogni creatura animale e vegetale di quel meraviglioso giardino che costituisce la loro vita, ma naturalmente non solo economica. Ed il piglio di Adamo ed Eva con le vicende di quel giardino è improntato all’umanità e alla solidarietà verso tutti coloro che per una ragione o per l’altra calcano il fertile humus di quella fertile terra. Potrebbe sembrare difficile in un ufficio commerciale avere questo tipo di sensibilità, ma basterebbe conoscere solo un po’ l’anima dei committenti per poter essere d’accordo con la mia valutazione. E’ per questo che la figurazione iconica centrale rappresenta Adamo ed Eva. Potevo rifarmi ad opere di grandi pittori. Tutti i grandi hanno dipinto Adamo ed Eva: Masaccio, Michelangelo, Cranach, Giotto, Durer, Rubens, Tiziano, Gauguin, Klimt e decine di altri grandissimi, ma io ho scelto una donna: Tamara de Lempicka. Tamara è una pittrice modernissima, una pittrice che taglia le ombre quasi con una specie di ascia. I suoi chiaro scuri sono netti, precisi, inequivocabili e si prestava indiscutibilmente alla tecnica che avevo scelto: la china, anzi con questa tecnica ho esagerato ancora quella separazione netta della luce arrivando in certi particolari quasi ad una solarizzazione come nella tecnica fotografica. Ma non è solo questo che mi ha fatto scegliere Tamara. La De Lempika nelle sue figure sembra quasi che faccia scultura. I tendini, i muscoli, le fattezze dei volti sono volutamente esagerati, a volte quasi in maniera caricaturale come se la forza dei tendini, dei nervi e dei muscoli facesse apparire subito l’anima dei personaggi. Una tecnica scultorea che nella pittura si fa molto visibile. Un po’ come Michelangelo. Michelangelo fu molto criticato nel suo tempo, si pensi al Cristo benedicente o a tutti gli altri personaggi della Creazione della cappella Sistina. Corpi possenti, esagerati, di una potenza incredibile. Ma lì era il suo essere, soprattutto scultore che veniva fuori e il pensare come scultore nel dipingere era una cosa altamente innovativa e dirompente. La De Lempicka non era scultrice, ma la sua pittura era veramente scultorea. Ed è forse l’altra mia grande affinità per la scultura che insieme alla tecnica scelta mi ha fatto decidere nella citazione di Tamara de Lempicka. Migliaia di puntini, di trattini, di graffi sono occorsi per definirne i corpi, i volti, i tendini ma anche la dolcezza, il languore e l’amore che passa da una figura all’altra. La figura centrale è completamente in bianco e nero con le sue sfumature di grigio e non poteva essere che così. Una pittura-scultura non può che avere che il colore della pietra serena. Quasi tutta nel colori primari, oserei dire primigeni: Bianco e nero, l’assenza di colore e il concentrato di tutti i colori, anche se la scienza ci dice oggi che pure il bianco concentra tutti i colori. La neve è bianca perché nonostante i suoi microcristalli siano trasparenti sono proprio la loro trasparenza e la loro forma geometrica a catturare tutta la luce possibile ed i suoi colori, trasformando la trasparenza assoluta in candido colore bianco. Quasi tutto bianco e nero dicevo, tranne i capelli di un biondo oro e le labbra, le unghie e il capezzolo color rosso carminio e naturalmente la mela, appena sfumata. Intorno alla scena centrale ruotano altre piccole scene che non esauriscono il loro compito nell’effetto decorativo, che non poteva certamente mancare, ma che parlano, almeno vorrebbero parlare ed essere decisive, anche loro, nella coreografia totale. Il titolo dell’opera o almeno l’argomento dell’opera non può essere che la creazione, la Genesi come una amica su fb mi ha suggerito ed ha azzeccato in pieno. La creazione, la nascita del mondo, la nascita dell’uomo sono il discorso che il lavoro vuole enunciare. Comincio a parlare delle scene laterali seguendo l’ordine di pittura, di come si sono fissati sulla tavola intorno ad Adamo ed Eva in un primo tempo solamente tratteggiati. La prima scena fatta è quella della campitura nera con fiori stilizzati in nero, ma anche colorati. Soni fiori, è vero, ma la loro forma esattamente circolare ce li può far immaginare anche mondi. Una fioritura stringata, essenziale di pianeti . Dei pianeti-fiori singolari intorno ad Adamo ed Eva che hanno già la conoscenza del bene e del male, Eva ha già in mano la mela. Da questa discende la seconda scena in alto a destra, dove i pianeti sono più visibili. Sono color pastello in campo azzurro. Un cielo monocromo che esalta la loro tenue coloritura. La stessa cosa vale per la scena in basso a sinistra, il campo questa volta è verde chiaro, ma il concetto non muta: siamo di fronte ad un universo delicato, pieno di speranza, pieno di luce nella vita che comincia ad esistere. Ritorno per un attimo alla scena in alto a destra: ci sono delle germinazione strane, dei bachi, dei lombrichi bicolori segno proprio che una specie di vita animale sta crescendo nell’universo, ma hanno un’allegria strana, una fiducia colorata nel futuro, ricordano molto da vicino i “buoni duri” di zucchero delle sagre paesane, ma anche le vispe insegne dei barbieri di un tempo. Ci sono anche due piccole scacchiere nel dipinto. La scacchiera per me ha un alto valore decorativo nella sua estrema semplicità, ma è anche simbolo della ragione, del raziocinio, un leggero richiamo al cervello, un piccolo pezzetto di cervello immerso in un mare di cuore. La scena successiva è un giardino dell’Eden particolare. Un paradiso terrestre inusitato. Ci sono due crateri vulcanici spenti e colorati delicatamente. La loro furia devastante si è esaurita, anzi sono terreno per nascite nuove: l’albero della conoscenza in quello azzurrino (citazione di Michele Viciani) e l’albero-macchina rosa del giardino delle delizie di Bosh. Fra i due crateri un mare-lago leggermente increspato. Più lago forse come il lago Pliocenico della mia terra: il Valdarno nel quale si stanno depositando i fossili di dinosauri estinti. Accanto a questo Eden particolare c’è un muro di mattoni d’oro. Il muro, un segno costante della nostra epoca. Un muro, di qualunque materiale sia, è comunque un manufatto da abbattere, ma questa volta può essere anche considerato prezioso, non solo perché i suoi mattoni sono di materiale prezioso, ma prezioso può essere il suo significato recondito. Non sono solo mattoni quelli, solo tessere della parete, ma con un po’ di fantasia, buttando gli occhi oltre il vicino orizzonte, vi possiamo vedere delle lettere, dei caratteri particolari, inca o maya o geroglifici egiziani o la scrittura cuneiforme degli assiri, delle lettere, in fondo, che compongono un muro pronto a sgretolarsi per gli ampi spazi del futuro. Alle due campiture in rosso e in nero con dei serpentelli dello stesso colore, che vomitano altri serpentelli, oppure, che è la stessa cosa, mangiano altri simili non riesco a dar loro una spiegazione che non sia quella esclusivamente decorativa. Ma forse mi è venuto in mente la mela di Eva che si è deteriorata subito appena mangiata, che si è subito avariata. Sarebbero allora vermicelli invece che serpentelli. Oppure ho pensato alla sterminata famiglia dei rettili che ogni giorno porgono mele. Poi l’altro Eden quello con la mezza mela gigantesca. Una mela viva, una mela che fa sangue se beccata in testa da un uccellaccio, una mezza mela difficile da scalare. Gigantesca ed erta. A voi le interpretazioni. Mentre per il serpente ne ho scelto uno più pericoloso di quello classico del Paradiso terrestre. Un cobra al posto del classico Pitone dell’albero della Conoscenza. Più pericoloso e molto velenoso e pronto in ogni istante a sferrare il morso. Fra la mela e il cobra un unico fiore esotico, un fiore fantastico con i bottoni d’oro e qualche ciuffo rosso di Callistemon. La chiesa ora ammette anche la teoria dell’evoluzionismo, il discendere naturalmente dalla materia dietro un alito comunque indispensabile di un Dio, ed ecco allora il Big Bang. Nello spazio nero tre squarci di luce, tre esplosioni, tre implosioni, tre supernove che danno, questa volta, loro, l’avvio alla Genesi. Ed infine l’ultimo pezzetto di Eden, l’ultimo frammento di un altro Paradiso Terrestre. Un tempo i pittori mettevano, quasi come loro firma, un particolare della loro terra. Questo piccolo borgo di sogno in alto a sinistra è un pezzetto importante del mio cielo, ma importante anche per i committenti che lo amano davvero tanto. Una firma ed un omaggio insieme. Spero che la mia genesi vi piaccia.
P.S.
L’ultimo paradiso si intravede da una specie di balcone fatto di mattoncini rossi molto toscani e da una colonna corinzia. Il giardino dei committenti, quello vero, ha diversi frammenti di colonne che allietano la vista. Un’altra colonna arriva da Mario.

#MarioRigli

Nato a Terranuova Bracciolini il 7-7-49. Si è occupato di poesia e narrativa da sempre. Ha partecipato, con importanti riconoscimenti, a numerosi premi letterari nazionali e internazionali. Nel corso del 1985 ha pubblicato il volume di racconti “Laurine” presso l’Editore “La Ginestra” di Firenze, ha ottenuto la targa di rappresentanza alla decima edizione del Premio Casentino, il Primo Premio Assoluto al “Cardo d’Argento”, il 1° assoluto a Concorso Internazionale “Natale di Pace” a Roma. Per il complesso della sua attività gli è stato conferito il riconoscimento “Gli Etruschi” a Roma. Nel 1986 ha conseguito il Premio Speciale “Trofeo delle Nazioni” a Roma, il 2° ex-aequo per la poesia al concorso “Federico Garcia Lorca” , il 6° premio per la narrativa alla XVI edizione del premio “San Valentino” di Terni, il Trofeo di Rappresentanza alla undicesima edizione del “Casentino”, il 5° ex-aequo per la poesia al premio “Città di Cava”: Nello stesso anno gli è stato conferito il riconoscimento “I Protagonisti”. Nel 1995 ha pubblicato la raccolta poetica “Immaginato nettare” con l’editore carta verde e nel 1998 la raccolta poetica “A ticket to hell” a due mani con il figlio Filippo sempre per l’editore Carta Verde. Suoi lavori recenti sono “Schegge di Luna” pubblicato in arabo nel 2013 ad Amman in Giordania traduzione e prefazione del poeta e traduttore Nizar Sartawi. Una pubblicazione a Mombay sempre nel 2013 in lingua hindi da parte della poetessa e traduttrice Vijaya Kandpal. La traduzione e la prefazione per il poeta arabo candidato al nobel per la poesia Munir Mezyed del volume “Le uve della vigna del cielo” pubblicato in Italia da Albatros nel 2011. Ha partecipato come unico autore italiano alla antologia poetica internazionale “The second genesis” pubblicata a Waipur India. Nel 2014 è stato coautore del libro “Intelligenze per la pace” insieme a Gianmario Lucini per le edizioni CFR. Nel 2014 ha scritto la prefazione e illustrato il libro “Le luci del Pratomagno di Ulisse Giovannuzzi. Nel 2015 ha scritto la postfazione del volume : “Storia di una mattonella di graniglia” di Fernando Poccetti. Nel 2016 ha tradotto in Italiano e ha fatto la prefazione per il volume “The birth of a poet” del poeta libanese Mohammad Ikbal Harb edito da Inner Child Press (Usa) e ha partecipato con sue poesie alle antologie internazionali “Morocco” e “Aleppo” sempre edite da Inner Child. Nel 2017 si è tenuta una sua retrospettiva nella sala del Consiglio Comunale di Terranuova Bracciolini, di pittura, scultura, poesia, narrativa e musica di quarant’anni del suo lavoro. Nel novembre del 2017, come paroliere è uscito il suo CD “Poesie in Musica” musicato, arrangiato e cantato da Fabio Martoglio. Le sue poesie sono tradotte in inglese, francese, spagnolo, portoghese, macedone, russo, arabo, hindi, pagasinian, tedesco . Suoi racconti e poesie sono presenti in antologie e riviste. Come pittore e scultore ha partecipato a molte mostre regionali e nazionali.