FINIRÀ LA CRISI

Di Turi Comito


E insomma, per quanti capri espiatori possano cercarsi e trovarsi (i cittadini indisciplinati, il governo che vive alla giornata senza un progetto, il virus clinicamente morto e clinicamente resuscitato, l’UE litigiosa che prende – se le prende – decisioni quando è troppo tardi, ecc. ecc.) alla fine, a me pare, che un responsabile per quel che stiamo vivendo c’è davvero. Ed è il “Sistema”. Ovvero quel complesso di strutture e sovrastrutture economiche e sociali nel quale viviamo e che è plasmato secondo le regole del liberismo consumista. Il quale “Sistema” è efficientissimo da certi punti di vista e in certe condizioni e inefficientissimo da altri punti di vista e in altre condizioni. E’ efficiente dal punto di vista della produzione di beni economici e solo se esistono condizioni di stabilità sociale ed economica che garantiscano il continuum “produci, consuma, crepa”. E’ inefficiente dal punto di vista di servizi sociali (scuola, sanità, trasporti e infrastrutture in generale) perché questi sono a carico dello Stato, ormai universalmente riconosciuto come un nemico dell’efficienza liberista se non obbedisce alla logica che vuole che lo Stato sia la donna di servizio del Capitale. Ed è inefficiente allorché si verificano crisi sistemiche. Che sia una crisi finanziaria provocata da bolle speculative o una crisi sanitaria prodotta da un virus sconosciuto, importa poco. Il risultato è sempre lo stesso: il Sistema, in presenza di “rotture”, non è in grado di garantire il suo stesso funzionamento. Produce disagi sociali, disastri individuali e collettivi, conflitti generalizzati del tipo “guerra di tutti contro tutti”, situazioni di incapacità decisionale politica, panico sociale.
Eppure, disequilibrato per quanto sia, il “Sistema” resiste. Nel senso che non è messo in discussione, non vi è nessuna voce – che abbia ascolto tra le masse – che ne richieda, almeno, una profonda revisione.
L’idea che lo Stato, la politica dunque e non il Capitale e le sue regole, possa ritrovare centralità nella gestione della società, è esclusa in partenza.
Due esempi tanto per dire.
Il primo: il ruolo degli industriali.
In queste settimane non c’è stato giorno in cui il presidente di Confindustria non abbia ululato e digrignato i denti. Le sue richieste sono note: meno Stato più mercato. Anzi più Stato, ma solo se al servizio delle imprese, il vero motore (secondo lui) del progresso umano. E lo Stato, la politica, il governo, chiamatelo come vi pare, ha risposto: sì, stiamo facendo di tutto per venire incontro alle vostre esigenze e scusate se siamo in ritardo.
Una volta, neppure tanto tempo fa, questo servilismo non ci sarebbe stato, almeno non in questa forma e non con questo atteggiamento da sciacquini.
Il secondo esempio: il caos Fondo di Recupero (Recovery Fund per gli anglofili).
Lasciamo perdere che allo stato attuale c’è lo stallo dovuto al conflitto Commissione/Parlamento e non si sa quando si esce da questa situazione. Ma guardate quel che è successo. Questa estate il presidente del Consiglio convoca gli “Stati generali”. Cioè parla con imprenditori, intellettuali, forze sociali, partiti, fruttivendoli e bidelli per mettere a punto un “Piano di rilancio” dell’economia del paese. Dei risultati di quegli Stati generali nessuno ha notizia. Nel frattempo il governo invita tutti a presentare proposte per il Piano che dovrà essere presentato alla Commissione per la ripresa economica. A cascata Regioni e Comuni invitano, in fretta e furia, chiunque abbia una mezza idea su come fare dell’Italia il centro dell’Universo a presentare un progetto.
Non so a che porterà questo bailamme. So però che queste pratiche, spacciate per coinvolgimento delle “forze vitali del paese”, è nient’altro che una risposta raffazzonata ad un domanda seria: che dobbiamo fare durante e dopo questa crisi che è sanitaria e anche sociale ed economica?
Il fatto è che dopo trent’anni e passa di lavaggio del cervello secondo cui lo Stato non deve programmare, non deve pianificare sviluppo, non deve avere una agenda industriale, di formazione, di progresso civile poiché tutto è demandato al dio mercato, dopo trent’anni di questa tragedia, dicevo, lo Stato non ha più alcuna idea di cosa fare per fronteggiare una crisi. Non sa più programmare, non sa più pianificare, non sa più fare una agenda di priorità.
Al massimo si inventa un DPCM a settimana e guarda in tv l’effetto che fa.
Insomma, il risultato di questi trent’anni e passa di privatizzazioni feroci e furiose, di tagli lineari ai servizi, di rispetto delle fanatiche e folli regolette di Maastricht del 3%, di sottomissione o di collatteralità della politica ai potentati economici, di martellamento ideologico secondo cui il dio mercato e la sua provvidenza sistemano tutto e tutti è questo: una società fatta di individui individualisti che più che avere paura del virus hanno paura di non potere più fare l’apericena e una politica di improvvisati e scappati di casa che il massimo che sanno dire è “signorsì, signor presidente di Confindustria”.
Finiranno queste crisi. Come a suo tempo è finita quella finanziaria dei tulipani olandesi e come è finita l’epidemia della peste.
Finiranno e torneremo a produrre, consumare e crepare con uno spriz in mano e una mascherina sotto il mento.

#Turi Comito

Funzionario direttivo presso Regione Siciliana. Dipartimento di Bruxelles e degli Affari Extraregionali.
Regione Siciliana
Palermo, Italia