Di Angelo D’Orsi
Diego Armando Maradona non è stato un calciatore (non so se il più grande di tutti i tempi; la definizione “il genio del calcio”, mi pare assai adeguata), nè semplicemente un “personaggio” di ogni genere di cronaca.
Maradona è stato un simbolo: un duplice simbolo, di un bambino che nasce nella miseria estrema e si riscatta con il calcio, un calcio poetico (Pasolini disse che se in Europa il calcio era prosa, in America Latina era poesia) che gli portò ai livelli più incredibili, e quindi per il suo Paese, l’Argentina, in cerca di riscatto, proprio come Diego e la sua famiglia; ma è stato un simbolo anche per la città di Napoli, che nelle imprese di “Dieguito” trovò il culmine di una stagione di rinascita, poi andata tristemente rovinando.
Andai a Napoli subito dopo la vittoria del primo scudetto da parte della squadra, nel maggio del 1987. Ebbene, non avevo mai visto la città dove pure ero stato moltissime volte, così gioiosa, così trasfigurata, così ebbra di felicità. Maradona era ovunque, e tutti, dico tutti, avevano il suo nome sulle labbra .Il suo bel volto, con quella chioma leonina, il numero 10 della sua maglia azzurra, i dettagli (una scarpa, un piede, un dito…), istoriavano i muri, sventolavano da stendardi, garrivano sulle bandiere bianche, azzurre, tricolori. Era difficile non farsi coinvolgere, e io che non seguivo più il calcio da anni, mi lasciai trascinare, cantando, fotografando, ridendo e agitando il pugno nel nome di Diego e degli “azzurri”.
Capii solo allora che Maradona era il sogno di una città trascurata, negletta, considerata solo in termini di folclore e camorra: Maradona fu anche folclore, anche del peggiore, talvolta (con gravissime responsabilità dei media, che lo hanno sempre tormentato, tra gli osanna e il vituperio), ma fu una autentica speranza di catarsi. E quella speranza lui poi seppe portarla in giro, sostenendo le buone cause, prima di tutte quella per la libertà e l’indipendenza di Cuba.
Diego Armando Maradona, nessuno come te, possiamo dirlo tranquillamente, ma con il dolore che pure chi non è tifoso di calcio, pure chi non è napoletano, oggi prova, credo, per la tua morte. Ma davvero mi sento di aggiungere: una morte che non sarà una scomparsa. Dieguito da oggi è definitivamente entrato nell’immortalità, una condizione riservata a pochi, pochissimi.
Qui sotto Manu Chao canta per e con Diego. Imperdibile. Struggente, in questo momento tanto più, la commozione del dedicatario della canzone.
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