Di Mario Rigli
Oggi sono andato dalla nipote di mia moglie e naturalmente mia. Ha preso un mezza insufficienza nel compito di inglese e mi ha chiesto una mano. Nel viaggio in macchina di andata e ritorno, da solo, mi sono messo a pensare. Penso non soltanto quando sono solo, ma anche quando sono in compagnia, anche rumorosa. Il mio modo di pensare è caotico, i pensieri e le considerazioni si accavallano gli uni sugli altri come cavalloni in un mare tempestoso e molte volte è difficile districarli. E le sensazioni che maturo, le considerazioni che faccio non li posso tenere per me e ne faccio sempre partecipe chi ho vicino, mio figlio, mia moglie, i miei fratelli, gli amici. Ora ho diverse migliaia di amici, meglio dire contatti e qui voglio condividerle.
Alcune delle mie considerazioni di oggi. L’ultimo premio Nobel che l’Italia ha preso è stato assegnato ad un comico, l’ultimo oscar che l’Italia ha preso è stato assegnato ad un comico, l’unico tentativo di superare, in qualche modo, l’asfissia dei partiti tradizionali è stato fatto da un comico. Non solo, ma tutti e tre si sono impegnati nel vedere le cose che non vanno, le contraddizioni della nostra società, si sono gettati in battaglie di denuncia civile e sociale, hanno messo in evidenza storture e, a volte, nefandezze del nostro paese. In una parola dei comici hanno aggiunto al loro essere professionale, morale e artistico una qualità diversa, di altra natura, sono diventati in qualche modo animali “politici”. Politica è declinata qui, naturalmente, nel suo valore più alto e nobile.
Ma è un caso, mi sono chiesto, una coincidenza? Una volta la politica era appannaggio di intellettuali, professori, comunque sempre pensatori. Intellettuali erano i padri costituenti, intellettuali erano Einaudi, De Gasperi e Togliatti, lo erano Nenni, Parri , Fanfani, Moro, intellettuali erano Terracini, Jotti, Pertini, Berlinguer . Dove e quando si è verificata la svolta? Evidentemente da quando la Politica ha perso la lucidità di pensare, di preconizzare un futuro possibile, di non essere in grado di andare oltre le contingenze, di non essere in grado di sognare un assetto della società più rispondente alle esigenze e alle affinità di una umanità calpestata, ignorata e messa da parte senza voce alcuna.
Si !…. è un comico, …si dice qualche volta con disprezzo, cosa c’entra lui con queste cose! Io credo che un comico è un’artista con la stessa dignità degli altri, un professionista che può infondere nelle sue performances, esibizioni, lavori, opere contenuti come per tutti gli altri artisti. Ed i contenuti possono essere a pieno titolo civili e sociali. Anzi io credo che il comico è una professione fra le più nobili, perché poco esiste di più nobile di regalare ai suoi simili un sorriso o anche una risata. Sorridere e ridere sono doni magnifici, esclusivi ed importanti, che possono addirittura stravolgere in meglio la vita di coloro che li ricevono.
I comici allora possono fare politica? Certamente, penso io. Esiste però un problema: proprio per la loro professione e la loro forma mentis, sono bravissimi nello scovare incongruenze, privilegi inammissibili, a denunciare ingiustizie, a indicare cose che non vanno, ma credo completamente inadatti nella progettualità necessaria per superare ciò che denunciano. Non sono in grado, almeno credo di elaborare disegni attuabili che permettano di andare oltre le storture che indicano, a volte, anche con veemenza.
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Ed allora? Allora bisogna che la politica riprenda a pensare, ad elaborare e, se è il caso, anche a sognare.
Concludo le mie riflessioni parafrasando un aforisma famosissimo di Bertold Brecht :
Beati quei popoli che non hanno bisogno di comici,
o forse che è meglio
Beati quei popoli che almeno i comici ce l’hanno.
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