SULL’INTERFERENZA VIRALE

Di Enrico Bernini Carri

Vorrei condividere con voi alcune osservazioni su un argomento difficile e scivoloso, in parte perché ancora poco conosciuto ed esplorato, in parte perché si presta a differenti chiavi di lettura, cioè il ruolo dell’interferenza virale nella pandemia da Sars-Cov2.
Mi scuserete il linguaggio sintetico e approssimativo dovuto alla necessità di spiegare in poche parole concetti e processi estremamente complessi.

Da quando fu scoperta l’esistenza dell’interferone(IFN)da Isaacs e Lindenmann nel 1957,molti passi avanti sono stati fatti nella comprensione del ruolo di questa citochina e diversi tipi di IFN(alfa,beta,gamma) sono stati tipizzati con ruoli diversi. Dei tre tipi di interferone oggi considerati(classificati con Tipo 1,2 e 3),quello che probabilmente ci interessa di più è l’IFN di tipo 1 la cui produzione può essere indotta da acidi nucleici virali tramite specifici recettori di membrana cellulare (TLR e RIG-I-like)che una volta riconosciuto l’RNA o il DNA virale, stimolano la produzione dell’interferone da parte della cellula aggredita. I virus a loro volta, cercano di difendersi dalla produzione cellulare di interferone, con un “meccanismo di evasione” che prevede la produzione di proteine virali inibenti la produzione di IFN1 o inibendo la segnalazione ai recettori di membrana(come avviene per il Marburg, l’Ebola e altri virus).
Ma a che serve l’IFN? L’interferone una volta prodotto potrà assolvere a differenti ruoli: una volta prodotto esso verrà captato da recettori presenti sulla membrana cellulare, inducendo uno “stato antivirale” che impedirà la penetrazione del virus(un po’ come se mettesse il cartello ”occupato” sulla porta d’ingresso)e influirà inoltre sulla maturazione virale inibendo la trascrizione , o la traduzione o in alcuni casi la glicosilazione delle proteine virali: in ogni caso il risultato finale sarà l’inibizione della replicazione dei virus invasore. Accanto a questo gli IFN di tipo 1 hanno inoltre attività di tipo immunomodulatore, antiinfiammatorio e anti tumorale(inibendo la replicazione delle cellule tumorali).

Allora da questa premessa quali sono le conclusioni (suscettibili di critica)che si possono trarre? Che in caso di infezione importante da parte di un virus, come avvenuto in questa pandemia, la produzione fortemente stimolata di IFN può aver inibito lo sviluppo e la replicazione di altri virus(e batteri) che interessano gli stessi organi bersaglio (soprattutto) consentendo(o meglio tollerando) invece lo sviluppo e la replicazione di altri virus che hanno vie diverse di penetrazione e organi bersaglio differenti(è nota infatti la coesistenza di herpesvirus e di virus dell’epatite con altri virus, così come la coesistenza di ceppi diversi dello stesso virus: influenza A e B).Non si è mai registrata infatti nella storia (ma vorrei essere smentito), una coesistenza di due epidemie di virus respiratori di tipo diverso(parlo di epidemie, non di casi isolati).Non a caso anche in Italia, quest’anno, tra la settima e la tredicesima settimana 2020,si è riscontrato un progressivo calo dei casi di influenza fino a zero quando in altri anni a metà marzo eravamo ancora in (quasi) piena epidemia influenzale (“Durante la settimana 13/2020 sono stati segnalati, attraverso il portale InfluNet, 77 campioni clinici ricevuti dai diversi laboratori afferenti alla rete InfluNet e, tra i 44 analizzati, nessuno è risultato positivo al virus influenzale”: dati InfluNet Italia 2020).Analoghe osservazioni vennero peraltro fatte già nel 2017 dal Prof. Casalegno dell’Università di Lione che osservò, dati alla mano, che una forte presenza di rhinovirus aveva interferito ed inibito lo sviluppo del virus influenzale A H1N1(dati confermati poi anche da ricercatori svedesi e pubblicati sul numero di ottobre 2017 di Eurosurveillance; anche Ian Mackay dell’Università del Queensland pubblicò un lavoro sul Journal of Clinical Virology a marzo 2017 sull’interferenza dei rhinovirus, non sempre però sufficiente a contrastare l’affermazione dell’influenza ad esempio negli Stati Uniti).Si tratterebbe in parole povere di una sorta di “inibizione competitiva” dove, il virus più forte circolante in quel momento, per dirla in termini pokeristici, si prende tutto il piatto.

Da ciò si può desumere che in corso di epidemia(più ancora se epidemia importante come questa)tutti i casi sospetti riconducibili a infezioni di tipo respiratorio o a sintomi correlabili all’infezione da Covid, devono essere valutati attentamente e fortemente sospettati come riconducibili al Sars-Cov2. Ciò spiegherebbe, inoltre, le osservazioni personali mie e di molti colleghi(soprattutto MMG) che hanno constatato la quasi assenza o almeno il forte decremento di patologie batteriche o virali di tipo respiratorio (ma non solo),riconducibili ad altra eziologia, durante il periodo più intenso della pandemia.

A conclusione di questo breve escursus sul possibile ruolo dell’Interferone, è corretto dire che non sempre la produzione di IFN esplica un ruolo protettivo e immunomodulante ma in alcuni casi anzi, l’effetto immunosoppressivo può favorire la replicazione virale determinando una risposta iperinfiammatoria che aggrava la malattia(ciò è diventato uno dei cavalli di battaglia dei No-Vax che ritengono che ad esempio la vaccinazione antinfluenzale possa costituire un terreno favorente alla penetrazione del Sars-Cov2 e alla conseguente esplosione iperinfiammatoria(cascata citochinica).

Ringrazio fin d’ora per il contributo di immunologi,microbiologi e virologi che potranno confutare o arricchire questa mia osservazione.

#EnricoBerniniCarri

Enrico Bernini Carri, Nato a Campobasso il 10/06/1958, residente a  Modena.
Presidente del Centro Europeo per la Medicina delle Emergenze e Catastrofi (CEMEC) – Consiglio d’Europa.
e-mail : enricoberninicarri@infinito.it