RITA BORSELLINO UNA VITA PER LA LEGALITA’

DI MARINA POMANTE

 

 

Dopo una lunga malattia si è spenta a Palermo Rita Borsellino, la sorella del giudice Paolo Borsellino. Aveva 73 anni, era una farmacista, professione ereditata dai genitori entrambi farmacisti, sposata dal 1969 aveva tre figli. Era la minore dei quattro fratelli, è morta oggi pomeriggio nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Civico di Palermo. Lo scorso febbraio era venuto a mancare il marito, Renato Fiore.

Dopo l’uccisione del fratello era diventata testimone della lotta alla criminalità e dal 2009 al 2014, aveva ricoperto la carica di europarlamentare per il Partito democratico.
Una donna di un’eleganza composta, aveva ricevuto in eredità, suo malgrado, la ribalta, percorrendo uno straordinario viaggio, diventandone il simbolo, anche se non amava definirsi tale, ma simbolo, lo è stata per ben due volte, della stagione della rivolta dopo le stragi e dell’epoca dell’ultima resistenza politica in Sicilia, quella del centrosinistra contro il cuffarismo.

Tutto cominciò la sera stessa della strage, raccontava: “Andai a trovare mia madre a casa del suo cardiologo, e lei mi disse: “Vai dalle mamme degli agenti che sono morti con Paolo e cerca di capire di cosa hanno bisogno”. Si definiva timidissima, ma da quel momento ha cominciato a partecipare ai dibattiti, ad andare nelle scuole, per non disperdere il messaggio, fatto di due parole semplici ma fondamentali per il ricordo: la memoria e la coerenza. Un giorno raccontò: “E quando, a fine 1994, mi chiamò don Ciotti per aderire a Libera, cambiò la mia vita. Io, che non avevo viaggiato mai da sola, cominciai un lungo giro d’Europa per parlare di legalità”.
Nel 1995 Rita Borsellino, è diventata vicepresidente di Libera, associazione anti-mafia, poi nominata presidente onoraria nel 2005. La Carica ricoperta fino a quando, nell’inverno dello stesso anno, si era candidata senza successo alla presidenza della Regione siciliana. Nel marzo del 2012 si era candidata anche a sindaco di Palermo, perdendo sul filo di lana le elezioni primarie del centrosinistra (in quell’occasione si impose il giovane Ferrandelli). Rita Borsellino era appoggiata da una parte del Partito Democratico, da Sinistra Ecologia Libertà, dalla Federazione della Sinistra, dai Verdi e dall’Italia dei Valori.

La sua vita era rimasta segnata da quella bomba esplosa in via D’Amelio. Raccontando di quel maledetto 19 luglio 1992 disse: “Sul viso di mio fratello Paolo c’era ancora il sorriso. Quel sorriso per me è stata la chiave che mi ha spinto a far diventare la testimonianza per la legalità, l’attività più importante della mia vita”.

Non era nei suoi progetti la vita politica, tanto meno una politica di sinistra, Rita Borsellino era lontana dalle idee politiche del fratello, ma ripeteva spesso: “l’impegno, la legalità, non hanno colore”. Qualche anno prima del debutto in politica nel 2006, già aveva avuto una proposta, nel 2001, era stata chiamata una volta dai leader di Partito. Prima che a Francesco Crescimanno, il centrosinistra, pensò a lei: “Non mi ricordo chi fu a contattarmi, ma ricordo che allora non presi neppure in considerazione l’idea di uno sbarco in politica. In un’intervista del 2011 disse scherzando: “Per carità”, non usi il termine “discesa in campo…”. Una parola coniata da Silvio Berlusconi, Rita Borsellino, il 10 ottobre del 1994 lo aveva messo alla porta, raccontò che: “Venne Silvio Berlusconi a bussare al citofono di casa, in via D’Amelio. Ma io, dopo un attimo di esitazione, dissi al presidente del Consiglio che non potevo farlo salire. Lui insistette e mi chiese al citofono: “Cosa possiamo fare per battere la mafia?”. Risposi: “Tutto, perché siete al Governo”. Da allora non l’ho più sentito”, era stato quell’episodio a farle scegliere la politica del centrosinistra.

Nell’ottobre del 2006, di ritorno da Ginevra nel furgone della carovana antimafia, Rita comunicò ad Alfio Foti, suo stretto collaboratore, l’idea di una candidatura per le Regionali. Una candidatura portata avanti dai Partiti di sinistra non identificati nei Ds, su cui questi inizialmente esitarono. Poi, dopo aver chiesto la disponibilità a correre per Palazzo d’Orleans persino a Sergio Mattarella, la Quercia decise di appoggiare Rita.

“Donna per la legalità, punto di riferimento per i giovani” queste furono le parole con le quali Sergio Mattarella definì Rita Borsellino.

L’Unione, (così si chiamava la coalizione) si divise, perché la Margherita propose l’ex rettore forzista di Catania, Ferdinando Latteri, che venne battuto alle primarie. Rita Borsellino, alle elezioni di giugno 2006, conquistò il risultato migliore ottenuto fino a quel momento dalla coalizione: oltre il 41 per cento, quasi un milione e centomila voti, solo 300 mila meno di Cuffaro. Alcuni dissero che fu troppo morbida con l’ex governatore, già inquisito per mafia, ma lei rispose: “Macché, io dissi quel che dovevo sulla sua cultura di Governo. Forse fu la coalizione a mostrarsi poco coraggiosa”.

Gli anni dell’Ars (Assemblea regionale siciliana), per questa garbata donna, così lontana da tutti quei meccanismi che la politica sviluppava, con i cantieri tematici di “Un’altra storia”, anticipò future esperienze dal basso, ipotizzando la formazione di movimenti popolari (inclusa quella del M5S). Ma a Palazzo dei Normanni, la sorella del giudice ucciso dalla mafia, visse l’esperienza meno incoraggiante. Era il portavoce dello schieramento ma solo sulla carta, dovette battersi per far sottoscrivere ai Ds la mozione di sfiducia a Cuffaro. E nel 2008 fu ingiustamente accusata di disimpegno nei confronti di Anna Finocchiaro, dichiarò in quell’occasione: “Io invece tentai di non disperdere i voti di una sinistra perplessa, rispetto a quella che si rivelò una candidatura sbagliata. Non so come sarebbe finita se mi avessero riproposta per la presidenza della Regione…”.

Fatto sta che la Finocchiaro non arrivò al risultato e Rita manco l’obiettivo per appena 700 voti ( malgrado un ricordo che fece tremare il Palazzo) a conquistare un posto all’Ars per la sua lista. Ma si riscattò alle Europee del 2009, con un boom da 229mila voti, un risultato secondo solo a quello di Berlusconi nella circoscrizione. Anche a Bruxelles, Rita Borsellino sapeva che un’offerta anche se declinata dieci anni prima, sarebbe arrivata, la proposta a candidarsi alla guida della sua città, Palermo. Fu “la prova più difficile”. Difficile, controversa. La coalizione, si spaccò di nuovo, un pezzo del Pd sostenne Fabrizio Ferrandelli, lei si giocò le primarie con l’appoggio di Leoluca Orlando che inventò uno slogan “Votate Borsorlando”, uno spot scelto all’ultimo momento, compreso anche di giri elettorali in autobus, ma non bastò per arrivare alla vittoria. In un clima di accuse per presunti brogli, l’attuale sindaco decise di candidarsi lui, in prima persona, al posto di Rita. Facendo infuriare la coalizione. Un passaggio politico che Rita Borsellino e i suoi uomini, presero molto male, oltre a Foti, suo braccio destro, anche l’ex assessore di Orlando, Giovanni Ferro.

Le elezioni comunali del 2012 segnarono la fine dell’esperienza politica di Rita Borsellino. Da quel momento tornò nelle scuole, lontana dalla politica che l’aveva delusa, osservando in silenzio, le evoluzioni della gestione Crocetta (di cui ha fatto parte la nipote Lucia, uscita poi anche lei, non senza rumore), il declino del movimento antimafia travolto da scandali e polemiche. Nel 2015 dopo l’avvio dell’inchiesta su Montante e l’arresto di Helg, dichiarò. “Sono sconcertata. Dobbiamo ammetterlo, è più onesto, c’è una parte della società che ha fatto della legalità una convenienza e io con questa antimafia delle apparenze non voglio avere nulla a che fare”.

Malata da molti anni non aveva mai abbandonato la voglia di esprimere nelle manifestazioni pubbliche la richiesta della verità sulla ricostruzione della strage di via D’Amelio. La verità sullo scenario nel quale morì il fratello Paolo e gli agenti della scorta e diceva: “Non una verità, ma la verità”, Unita ai figli di Paolo Borsellino, insieme a Fiammetta, portatrice del dolore e dello smarrimento di una famiglia che denuncia da anni quello scorcio di secolo con parole forti che pesano come macigni “trascorso fra schifezze e menzogne”. Rita Borsellino diceva della nipote: “Le parole di Fiammetta? Sono Vangelo”. Oggi se ne andata ma è vissuta due volte, nell’impegno civile e in un centrosinistra che non è mai riuscito a saldare il debito di riconoscenza con lei.