PROCESSO CUCCHI BIS, SUPERTESTE CONFERMA LE ACCUSE AI CARABINIERI

DI MARINA POMANTE

 

Il vicebrigadiere dei carabinieri Francesco Tedesco, imputato per omicidio preterintenzionale e super teste, ha deposto oggi in aula al processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, confermando le accuse ai colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.

In base al suo racconto, nella notte dell’arresto ha ripetutamente detto ai due carabinieri: “Basta, che cazzo fate”. E si sentì nei giorni a seguire solo e terrorizzato, dichiarando di trovarsi in “una morsa”, da cui non riusciva ad uscirne e che nessuno lo avrebbe creduto. Capì immediatamente che era una piccola ruota di un ingranaggio troppo grande, questo gli provocò un senso di impotenza. “Non era facile denunciare i miei colleghi”.
Tedesco pronuncia tutto d’un fiato il suo racconto, e poi si inoltra nelle spiegazioni… Quelle minacce del maresciallo Mandolini che gli intimò “di seguire la linea dell’Arma”.

Anche a causa di un clima che in quei giorni, aleggiava all’interno delle caserme non raccontò subito la verità.
Il primo a cui ha raccontato quanto è successo è stato il suo avvocato. “In dieci anni non lo avevo ancora raccontato a nessuno”.

I fatti accaduti sono un viaggio in qualcosa che non ti aspetti da chi indossa una divisa. E inizia da quella notte dove tutto cominciò dal rifiuto di Cucchi di farsi prendere le impronte digitali al fotosegnalamento. Il 31enne geometra romano venne portato nella caserma della compagnia Casilina, li nacque un ‘battibecco’(così lo definisceTedesco) tra Cucchi e Di Bernardo il quale si voltò e colpì il geometra con uno schiaffo violento in pieno volto, poi D’Alessandro gli sferrò un forte calcio con la punta del piede all’altezza dell’ano. A questo punto Tedesco si alzò per fermarli e disse loro: “basta finitela che cazzo fate, non vi permettete”.
Di Bernardo non ascoltò quel grido e spinse violentemente Cucchi che cadde a terra sul bacino. Il vicebrigadiere racconta di aver sentito chiaramente il rumore della testa sbattere sul pavimento e che mentre Stefano Cucchi era a terra D’Alessandro lo colpì ancora con un calcio in faccia e poi prima che gliene desse un secondo, Tedesco lo spinse via intimandogli di allontanarsi. Poi, si accostò a Stefano aiutandolo a rialzarsi e gli chiese come stesse. Lui rispose: “sono un pugile sto bene”. Tedesco conclude dicendo che malgrado questa affermazione, si vedeva che era stordito.

Nel 2017, Tedesco, lesse nel capo d’imputazione che la morte di Stefano Cucchi era stata determinata dalla caduta a cui lui aveva assistito, così si decise di parlare.

Sotto le domande incalzanti del Pm Giovanni Musarò, il vicebrigadiere ha ricostruito tutte le fasi del depistaggio e dei giorni che seguirono la morte di Cucchi.
Depistaggio che coinvolge 8 carabinieri tra cui 2 ufficiali.
Inoltre ha vissuto il bisogno di liberarsi di un peso tanto opprimente quanto lontano dai valori dell’Arma, lo ha fatto chiedendo scusa alla famiglia e agli agenti della polizia penitenziaria dicendo:
“Nove anni di silenzio sono stati un muro insormontabile”.

Il vicebrigadiere Tedesco accusa direttamente il maresciallo Mandolini che al momento dei fatti era a capo della stazione Appia. Insieme al maresciallo, il vicebrigadiere Tedesco deve rispondere alle accuse di falso nella compilazione del verbale di arresto e all’accusa di calunnia.
“Mandolini sapeva fin dall’inizio”, infatti era stato lui il primo col quale Tedesco, D’Alessandro e Di Bernardo avevano parlato, poichè dopo il pestaggio, avevano portato Cucchi alla stazione Appia, raccontandogli quello che era successo.
Poi arrivò Vincenzo Nicolardi, il quale nel processo deve rispondere all’accusa di calunnia. Nicolardi parlò da solo con il maresciallo Mandolini.
Tedesco ha precisato che al loro arrivo alla caserma Appia, c’era già il verbale pronto e gli venne detto dal maresciallo di firmarlo. Stefano Cucchi si rifiutò di firmare. Ed è in questo momento che Mandolini impone a Tedesco di seguire la linea minacciandolo esplicitamente.

Tedesco si addentra sempre di più nel clima di quei momenti e di quei giorni.
Racconta di un Cucchi silenzioso in macchina durante il viaggio, coperto dal cappuccio della sua felpa, che ogni tanto chiedeva il Rivotril, un farmaco per l’epilessia. Ma è quello che dice ancora che fa riflettere: “tutto girava intorno a Mandolini e quando un giorno gli chiesi cosa avremmo dovuto fare, se ci avessero chiesto qualcosa, lui rispose: non ti preoccupare devi dire che stava bene. Tu devi seguire la linea dell’Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere”.

In quei giorni così controversi, Tedesco disse di avere provato un senso di panico quando si rese conto che la sua annotazione di servizio era sparita e lo denunciò.

Solo nel momento in cui ha parlato Casamassima ha pensato che non era più il solo ha denunciare la verità. E quel muro di omertà finalmente cominciava a sgretolarsi.

Oggi è stata una conferma della ricostruzione resa ai magistrati della Procura capitolina.

La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, subito dopo le dichiarazioni, ha detto: “finalmente la verita dopo 10 anni di menzogne” e riguardo alle intenzioni espresse da Giovanni Nistri, comandante generale dell’Arma, nella lettera che le scorse settimane inviò alla famiglia Cucchi, ha dichiarato: “ci fanno sentire finalmente meno soli, si è schierato ufficialmente dalla parte della verità ( l’Arma in seno alla vicenda si è costituita Parte civile), a differenza di quello che qualcuno dei difensori da’ ad intendere ad ogni udienza, chi rappresenta l’Arma non sono i difensori degli imputati ma, il loro comandante generale”.
Anche per Ilaria il racconto di come ha trovato la morte suo fratello, è stato un rinnovato dolore, guardava i suoi genitori nel corso della deposizione, guardava i loro visi e capiva quanto tutto fosse così struggente, ma la consolazione è che ormai nessuno potrà piu negare quello che è successo a Stefano.