INCONTRO RAVVICINATO CON UN EROE ITALIANO. MIMMO LUCANO IN VALDARNO

DI MARIO RIGLI

 

 

– Non dovresti uscire – mi ha detto mia moglie
– Ma solo gli anziani, non possono –
-Eh, già, e gli over 70 come te cosa sarebbero? –
– Non posso non andare stasera, Lisa, non posso non conoscere Mimmo –
Sapevo che Mimmo Lucano aveva disdetto nel pomeriggio un incontro a Siena, ma quello serale nel Valdarno, a San Cipriano era confermato. Sono partito con un certo anticipo. Non sapevo dove si trovassero le “Officine Klee” luogo dell’incontro. Dio, ma come mi piaceva quel nome! Officina, quindi sudore, lavoro, fuoco, acqua e Klee, colori, sogno, poesia. Non so se era questo il motivo di un nome simile, ma mi piaceva immaginarlo mentre ero alla ricerca di quel luogo che per me cominciava d essere magico e soprattutto introvabile. Mi sono fermato per vedere un po’ su google.
“Officina KLEE sorge nel cuore del Valdarno. Un club nel mezzo della provincia aretina: disperso e fuori mano, ma proprio per questo con un fascino proprio e underground. Un luogo di aggregazione, invernale ed estivo, fondato sulla musica”
Mi ero ormai ampiamente accorto del “disperso e fuori mano” ma ho visto anche che era un luogo di aggregazione fondato sulla musica, musica di ogni genere. Ed allora dovevo arrivare per forza: sudore e lavoro, colori e poesia, musica e suoni e soprattutto Mimmo.
Quando sono arrivato stava già parlando, non so da quanto. Ho fatto la tessera di socio e ho preso una grappa al bancone mentre sentivo la voce di Mimmo in sottofondo.
Mi sono fatto largo, mi sono avvicinato.

Mimmo parlava con pochissima inflessione dialettale, con un linguaggio semplice, diretto, senza fronzoli. Si tutti sapevamo bene delle sue vicissitudini, delle sue beghe giudiziarie, ma il sentirle dalla sua voce ci faceva emozionare. Avvertivo bene il suo amore per l’Uomo, per il diverso, per l’altro. L’accoglienza senza se e senza ma, scaturiva forte dalle sue parole. Era bello vederlo con i suoi jeans stropicciati, semplici come il suo essere e soprattutto il suo gesticolare nel discorso. Porgeva le sue mani a chi lo ascoltava e chiudeva il palmo a mo’ di “giumella”, diremmo in Valdarno.

Come volesse dar da bere del suo sé più vero, come volesse dare manciate di saggezza e di grande umanità. E noi bevevamo dalle sue mani.
Sarei voluto intervenire nel dibattito finale, m mi sono vergognato un po’. ed allora mi sono avvicinato.
Volevo dirgli qualcosa di importante, di grande, che fosse per lui un ringraziamento indelebile per tutto quello che ha fatto e sopportato per tutti, anche per me.
– Scusa, Mimmo posso dirti un cosa? –
– Certo, dimmi, pure. –
– Sai, fino qualche tempo fa quando sentivo la parola Riace pensavo ai bronzi, alla loro monumentale bellezza, alla loro perfezione estetica, alle code che anni fa ho fatto a Firenze per ammirarli dopo il loro restauro.
Quando sentivo la parola Mimmo pensavo a Modugno, forse alla “Lontananza” ma non a quella che avresti dovuto sopportare te dal tuo paese e dai tuoi cari.
Quando sentivo la parola Lucano pensavo all’amaro e al retrogusto del caffè che ammazzavo.
Oggi quando sento queste tre parole penso a te, alla tua bellezza etica, alla lontananza alla quale ti hanno costretto, all’amarezza che hai dovuto sopportare e che hai trasformato in dolcezza per gli altri. Grazie Mimmo per esserci. –
Via via che parlavo i suoi occhi si inumidivano, mi ha detto un grazie appena sussurrato, ma io lo sentivo potente dai suoi occhi. Mi ha stretto la mano forte e mi ha abbracciato in c..o, ops…! alla faccia del Corona.