CHARTER DI MIGRANTI DALLA GERMANIA? SALVINI: “CHIUDO GLI AEROPORTI”

DI MARINA POMANTE

 

Sfiorato l’incidente diplomatico ieri mattina tra la Germania e l’Italia. Come ha raccontato oggi in un’intervista a Rtl Salvini dicendo che è stato informato da un giornalista che la Germania era intenzionata a rimandare al mittente migranti che entravano nel Paese.
Nessun atto formale o informale che informasse il ministro degli Interni su questa possibilità e la prima risposta data e stata: “arrivano charter di immigrati? Chiudo gli aeroporti!”.

La Germania ha immediatamente smentito la notizia facendo sapere che, almeno per il momento, non è previsto alcun “rimpatrio” per dire meglio, non è prevista per ora la ricollocazione dei migranti nel primo Paese d’accoglienza.
Le tensioni tra i due Paesi attualmente si sono placate, anche in vista del G6 in corso che prevede l’incontro dei ministri dell’Interno di Italia, Germania, Francia, Spagna, Polonia e Regno Unito. Riunione che includerà nell’agenda anche il tema dei migranti che chiedono asilo nel nostro Paese per poi proseguire il viaggio, da persone libere, all’interno dei Paesi dell’Europa unita. Una prassi assolutamente normale, tuttavia quando sono identificati, in base al “Trattato di Dublino” possono essere rimandati nel Paese di primo approdo che dovrà procedere alla valutazione della richiesta d’asilo e si dovrà far carico dell’ospite straniero, fino all’esito della procedura.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, alla notizia di un possibile ritorno dalla Germania non ha fatto mancare immediatamente la risposta e ha messo in chiaro che la sua linea politica non sarebbe cambiata e quanto era valso per le navi delle Ong, sarebbe stato applicato anche per i charter da Berlino.
Parole lapidarie quelle pronunciate da Salvini che ha aggiunto: “Se qualcuno a Berlino o a Bruxelles, pensa di scaricare in Italia decine di immigrati con dei voli charter non autorizzati, sappia che non c’è e non ci sarà nessun aeroporto disponibile. Chiudiamo gli aeroporti come abbiamo chiuso i porti”.
Il charter ipotetico avrebbe fatto scalo a Fiumicino e riportato in Italia 40 immigrati.

Sono considerati migranti secondari coloro i quali lasciano il Paese d’accoglienza per recarsi altrove e questi “dublinati”, in base a quanto decide il Governo del Paese dopo essere stati identificati possono essere rispediti nel primo Paese d’approdo.

Il 15 giugno 1990 i 12 Stati membri della Comunità europea (Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito) firmarono la Convenzione di Dublino, con lo scopo di armonizzare le politiche in materia di asilo e garantire ai rifugiati un’adeguata protezione, proprio nel rispetto della Convenzione di Ginevra (1951) e del protocollo di New York (1967). La Convenzione è stata poi sostituita dal Trattato di Dublino II, sottoscritto dagli Stati dell’Ue nel 2003, poi modificato nel 2013 e rinominato Dublino III.

Cosa stabilisce il Trattato?
I cittadini extracomunitari che fuggono da Paesi di origine perché in guerra o perseguitati per motivi di natura politica o religiosa, possono fare richiesta di asilo solo nel primo Paese membro dell’Ue in cui arrivano, come prevedeva la Convenzione del 1990. Non si possono fare più domande contemporaneamente. La norma è stata stabilita per gestire i flussi dei migranti evitando così il proliferare delle richieste di protezione internazionale.

Cosa prevede il Regolamento di Dublino
Oggi è in vigore il Regolamento Dublino III, firmato da tutti gli Stati membri, ad esclusione della Danimarca e applicato da gennaio 2014.
Prevede che sia il primo Stato membro d’ingresso del migrante ad operare la registrazione dello stesso attraverso le impronte digitali e foto segnaletica, i suoi dati vengono poi inseriti in un database europeo (Eurodac), che consente un controllo incrociato.
Inoltre il Paese dovrà prendersi carico della procedura di espletamento della richiesta d’asilo.

Chi non può fare domanda?
Non può fare domanda chi abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o contro l’umanità, un crimine grave di diritto comune al di fuori del Paese di accoglimento e prima di esservi ammesso in qualità di rifugiato e infine chi si sia reso colpevole di azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Qual è il limite del Trattato di Dublino?
Negli ultimi anni i flussi migratori hanno superato i livelli di contenimento, cosa non prevedibile negli anni ’90. La regola sulla quale si è aperto il confronto, considerata da molti anacronistica, è quella dell’obbligo di registrarsi nel Paese di arrivo, dove il profugo è costretto a chiedere lo status di rifugiato, senza poter proseguire per un altro Paese membro, anche se lo desidera. Questa regola ha finito per intasare i centri di identificazione dei Paesi più facili da raggiungere via mare o via terra, come l’Italia e l’Ungheria, e per creare una situazione paradossale che vede da un parte profughi che anche se vorrebbero raggiungere altri Paesi, come la Germania, il Regno Unito o la Svezia, oggi con queste dinamiche, non possono farlo. Poi dall’altra parte c’è la difficoltà dei Paesi che non riescono ad accogliere e gestire i migranti in arrivo ma sono costretti a trattenerli, registrarli e ospitarli.

E’ un accordo tra i punti più criticati dalle Nazioni che determinano il primo approdo.

Una riforma nuova proposta dalla presidenza bulgara a giugno di quest’anno, ha fatto discutere tutti i Paesi membri dell’unione europea.
Un’intesa su Dublino da definire già morta sul nascere proprio in considerazione delle conseguenze che l’Italia e altri dieci Paesi, per ragioni diverse, all’incontro in Lussemburgo hanno declinato subito con un bel “No” il compromesso sulla riforma delle regole per rivedere l’accordo sul diritto d’asilo per i migranti che arrivano in Europa. Il no, oltre che dall’Italia, arrivava da Spagna, Germania, Austria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca.

Ma cosa prevede la riforma proposta dall’Unione europea?
Il Parlamento europeo a novembre 2017 ha approvato all’unanimità un testo della riforma che prevede la cancellazione della norma relativa al “Paese di primo ingresso”. Il testo del Parlamento, che viene ritenuto da molti “innovativo” (fra questi Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione).
Riordina la materia sulla base dei principi di solidarietà, con un’equa distribuzione fra i Paesi membri, e introduce per la prima volta anche i “legami significativi” (familiari o esperienze passate di studio e formazione) con uno specifico Stato membro.
Un altro testo ancora, è stato preparato dalla presidenza del Consiglio europeo. È questo il progetto in discussione in Lussemburgo. E’ questo che mantiene ancora il carico del “Paese di primo ingresso” e introduce un sistema complesso di calcolo per le quote obbligatorie della ridistribuzione dei richiedenti asilo a tutti gli Stati membri, con soglie molto alte in termini di numero di arrivi e sulla base di una decisione che deve essere presa all’unanimità dai capi di Stato e di governo dell’Ue. La quota “obbligatoria” per singolo Paese viene stabilita tra Pil e popolazione (50% ciascuno). Se un Paese rifiuta, scatta la penale automatica (ridotta da 250mila a 30mila euro) e nessuno degli Stati europei può rifiutare di accogliere un richiedente asilo da altri Paesi. L’Italia come gli altri Paesi del Sud Europa, contesta anche la riduzione della penale per i Paesi che non rispettano le quote. I Paesi del gruppo di Visegrad rifiutano l’obbligatorietà delle quote.

E’ sul testo di riforma, che il ministro dell’Interno Matteo Salvini pone l’accento ed esprime opposizione che risulta diametralmente opposta a quella dei cosiddetti Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria); come già aveva fatto Gentiloni, contesta la durata del periodo di otto anni, durante il quale la “responsabilità” del richiedente resta onere del Paese di primo ingresso. In pratica l’Italia (come la Spagna o la Grecia, principali Paesi d’approdo delle rotte migratorie via mare) nei dieci/otto anni successivi ha l’obbligo di riprendersi i richiedenti asilo che si trasferiscono in un altro Stato membro.

La proposta bulgara.
Nel testo di mediazione bulgaro, risulta di fatto ridotto l’intervento solidale verso i Paesi più esposti, tuttavia si mantengono le quote obbligatorie di ripartizione di richiedenti asilo tra gli Stati membri, ma si stabilisce che nei casi estremi, di “crisi grave”, che evidenziano soglie molto alte in termini di numero di arrivi, la decisione deve essere presa ad hoc e unanimemente dai capi di Stato e di Governo dell’Ue. L’altra faccia della medaglia del testo, riguarda maggiori responsabilità per i Paesi di primo ingresso, in particolare il numero degli anni, che da otto sale a dieci, durante i quali gli Stati dove è avvenuto il primo ingresso sono obbligati a riprendersi i richiedenti asilo che si erano eventualmente trasferiti in un altro Stato membro.
La riforma Bulgara aveva inoltre previsto una riduzione della penale (applicata agli Stati che rifiutano l’accoglienza del richiedente asilo da altri Paesi), da 250 mila a soli 30 mila euro. Ecco perchè c’è stato un forte dissenso dai Paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta), il cui fronte è rimasto compatto durante le trattative. Anche la stessa Germania e l’Austria si sono dette contrarie a tale riforma che giudicano impraticabile. L’Austria ha annunciato una “rivoluzione copernicana” durante il prossimo semestre di presidenza Ue.

La considerazione che appare evidente, verte proprio su questi dettagli. Come si può pensare che un immigrato che provenga ad esempio dalla Libia con l’intenzione di raggiungere l’Europa e nella fattispecie la Germania, sbachi a Berlino? Stessa ipotesi per gli immigrati che volessero raggiungere la Francia o che sperano di arrivare in inghilterra.
Va allora considerata l’opportunità di ridiscutere il Trattato di Dublino perchè come ha sottolineato il premier Giuseppe Conte, chi sbarca in Italia sbarca in Europa.