Di Mario Rigli
Sono stato sollecitato stamani dal dare una mia lettura di un quadro, a mio parere bellissimo, di Ilya Zomb.
La interpretazione che io avevo dato dell’opera, in maniera faceta e ridanciana, era una accostamento in qualche modo spurio, al nostro campionato, dove la zebra, protagonista del quadro del pittore russo, lo è, ed io non ne sono particolarmente felice, del campionato stesso.
Non conosco a fondo Ilya Zomb, ho solo visionato alcune sue opere che naturalmente mi affascinano.
Siamo difronte ad un esempio molto evidente di pittura metafisica . La metafisica è la dottrina filosofica teorizzata da Aristotele. Meta fisica, quello che va oltre la fisica, il dato di fatto e incontrovertibile, il contingente, il sensibile, il reale. In pittura, ma non solo in pittura “metafisico” è sinonimo di “surreale” di ciò che supera il reale, quindi il fantastico, l’onirico, l’impossibile, il sogno, la visione.
Lo Zomb, e non so se il suo cognome è vero o di fantasia, a me fa immaginare un certo tipo di fantasy-horror, sembra aver acquisito in maniera totale, la lezione di Dalì, di De Chirico, ma anche di Magritte e di Cèzanne. Ma lo Zomb ha elaborato ancor, di più, a mio parere, la teatralità della composizione dell’opera.
I suoi personaggi sono collocati esattamente, senza sbavature , come in un palcoscenico di teatro. Si danno e si offrono muti e insensibili allo sguardo dello spettatore. La costruzione della tela, contrariamente al concetto surreale che si vuole proporre, è studiata in maniera matematica, fisica e concreta. A me la sua definizione ha ricordato Botticelli nella Primavera, ma soprattutto nella Nascita di Venere. In questo caso i personaggi sono collocati nel quadro con una precisione millimetrica e matematica.
Ma veniamo al quadro in questione.
Siamo certamente oltre la fisica ed il reale.
L’atmosfera è silenziosa, grida di silenzio. Nemmeno il cormorano che si tuffa in acque immobili, fa il minimo rumore, né un squash, non un gorgoglio delle acque. Anche gli altri due cormorani in aria, non sembrano neppure volare, non un battito di ali, e così il pellicano quasi si trovassero immortalati in una foto di dagherrotipo. I Gabbiani poi, immobili e infreddoliti sembrano lontani mille miglia dall’ambiente che pur è il loro. Ed il pesce poi? Appoggiato su uno scoglio a qualche centimetro dall’acqua, senza un guizzo, senza vita, soggiace ad un destino strano ed improbabile, quale fato onirico lo ha deposto lì?
Le ballerine poi sono personaggi assurdi in quella localizzazione marina. Sono in equilibrio perfetto in quegli scogli aguzzi, o forse non lo sono affatto. Sono costrette in fondo ad un equilibrio forzato dato dagli scogli a punta che sembrano essere sorti dal mare proprio nella forma necessaria a sostenere quell’equilibrio forzato o naturale, a seconda dell’occhio e dell’animo dello spettatore.
Anche il cielo è immobile o quasi. Quei nembi, mai si trasformeranno i figure senza la presenza del pur minimo alito di vento. Anche le tre formazioni in cima alla tela, ad imbuto, quasi trombe d’aria e vortici di un uragano ormai finito, sono ferme e fotografate nella loro situazione presente, senza ombra di passato e futuro. Ed infine la zebra.
Questo è forse il personaggio più improbabile della scena. Non ci sono le erbe della savana sotto di lei, né gli spazi per far schioccare i suoi zoccoli. Lo scoglio, il più grande, anche in questo caso sembra nato dalle acque per lei. Il suo spazio è esiguo, forse ci può stare solo seduta, non potrebbe alzarsi in piedi. Ed il suo sguardo è lontano fisso nel vuoto, quasi non riconoscesse l’ambiente in cui è stata trasportata e nel quale prova un enorme disagio.
Quindi equilibrio, ma anche angoscia in questa tela, e non può essere che così. Uno degli scopi della metafisica è anche cercare di scoprire l’anima, il suo scopo è esistenziale, e l’angoscia esistenziale secondo me, è il tema principale dell’opera.
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