DI LUCA MARTINI
Qualcuno ha scritto che non è lui il protagonista di Padrenostro, perché va in scena meno dei due ragazzini, e infatti: Pierfrancesco Favino non è il protagonista del film, ma il dio cui il film è consacrato, non prescindendo da lui neppure per un’inquadratura, neppure quando è immoto – resti la scena in cui, spiato dai ragazzini-figli, dorme indifeso a letto nella posa del Cristo del Mantegna.
Dunque. Roma, anni Settanta, storia di terrorismo rosso, vista davvero dal basso, dagli occhi del decenne Valerio: assiste con la madre Gina all’attentato ai danni del padre, Alfonso, da parte di un commando dei Nap. Il padre sparisce in ospedale, poi riappare, sanato. Al bambino rimane tutto negli occhi, in particolare la morte di un terrorista, il sangue addosso e sull’asfalto.
D’estate, ritorno al paese, in Calabria. Il padre cerca di resuscitare alla normalità il quotidiano di una famiglia sconvolta. Sotto scorta. Ma è lui, Alfonso, il primo a essere trafitto dall’insicurezza che può aprirsi sul baratro della paura. Un guaio per un dio, il dio di suo figlio.
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