40 ANNI SENZA ALDO MORO

DI MARINA POMANTE


Una figura che ha attraversato da protagonista la seconda metà del secolo scorso, un uomo e un politico italiano, mai sopra le righe, per la sua attività nel Partito e nella vita. Cattolico con un occhio rivolto al comunismo e allo Stato sociale, Aldo Moro, lo statista che avrebbe potuto insegnare molto ancora alle generazioni che lo succedettero e che il “destino” ha preteso come vittima sacrificale di un disegno che dopo circa 40 anni, appare ancora confuso e a tratti controverso.
La sua dedizione ad una politica equanime che pretendeva di preoccuparsi di tutti, fa di lui uno statista che ancora oggi è considerabile attuale e con le dovute differenze epocali, lo colloca tra i “maestri” da prendere a modello.
Precursore delle politiche che videro intese e tentativi di allargamento con partiti d’opposizione, coi quali seppe condividere e costruire progetti comuni per considerando i rispettivi ideali fondanti.
E’ stato il politico che non ha offerto sentimento di odio per gli avversari e da questi non ne riceveva. Anche se può apparire anacronistico, Aldo Moro, rimane ispirazione per la Repubblica, intesa come tale letteralmente e per un progetto politico che riesca a comprendere bisogni e aspettative di tutte le componenti sociali del popolo. E’ innegabile che viviamo un tempo nel quale sono saltati i dogmi partitici e le loro basi fondanti, anche la stessa Democrazia Cristiana, voluta tra gli altri dallo stesso Moro, è ormai una pagina consegnata al passato, ma anche l’altra protagonista di quello che venne indicato come “Compromesso storico” è ormai irrimediabilmente compromessa ed in continua fase di transizione che la colloca sempre più a destra rispetto alla memoria del Partito Comunista Italiano dei tempi di Enrico Berlinguer, coprotagonista con Moro, del tentativo di un salto in avanti, verso la distensione e la costruzione comune.
L’accantonamento del progetto di Aldo Moro, e le evoluzioni politiche (quasi mai favorevoli) che hanno contraddistinto gli anni che seguirono la sua morte, hanno condotto alla ricostruzione dello scenario partitico e in taluni casi, la scomparsa di alcune Forze politiche, in ragione della nascita di nuovi soggetti politici che come camaleonti, hanno saputo adattarsi e cambiar pelle, secondo la logica della mera convenienza, troppo spesso a scapito dell’elettorato che ha continuato ad ingoiare delusioni da una parte e dall’altra.
Non è mistero che una certa deriva a destra, sia oggi l’evidente epilogo di troppo trasformismo e di totale assenza di valori, non è esagerata la denuncia di totale assenza di riferimenti forti e allora il pericolo è proprio costituito dalla sottile linea che separa la volontà popolare disattesa e la rivoluzione o il colpo di Stato. Un pericolo che seppure alcuni si ostinano a non voler vedere, è una proiezione possibile dell’esasperazione di tanti italiani, basti pensare agli “inciuci” o ai trabocchetti delle Leggi elettorali che di volta in volta, i partiti maggiori, modellano sulla base della convenienza di partito, anziché per il bene del Paese.

La precoce scomparsa di Aldo Moro, ha interrotto di fatto, un preciso percorso democratico dell’Italia, ponendo fine ad un possibile sviluppo della democrazia, che lui definiva “terza fase”, verso un’alternanza al Governo delle grandi formazioni politiche popolari. –
Aldo Romeo Luigi Moro, nacque a Maglie (LE) il 23 settembre 1916 figlio di Renato, un ispettore scolastico, originario di Galatina e di Fida Stinchi un’insegnante elementare di Cosenza. Conseguì la Maturità Classica al Liceo “Archita” di Taranto. Laureato all’università di Bari in Giurisprudenza, nel 1941 ne divenne docente in filosofia del diritto e politica coloniale. L’anno seguente Moro otterrà la cattedra di professore di diritto penale.
Entrò nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana e quattro anni dopo, nel luglio del 1939 ne divenne presidente, su indicazione di Monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro papa Paolo VI).
Aldo Moro sposa Eleonora Chiavarelli nel 1945 e da lei avrà quattro figli, Maria Fida, la primogenita che oggi è una giornalista e politica italiana, Anna, Agnese e Giovanni.
Ottenne il trasferimento all’università di Roma con la cattedra di Istituzione di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze politiche.

Il suo debutto in Politica risponde al suo sentimento di voler emancipare l’Italia, dalla sua appartenenza a destra, caratteristica che trova naturale predisposizione non solo nel popolo ma anche e soprattutto nel ceto medio e del mondo cattolico, in special modo al sud del Paese.
Il suo anticomunismo non è sentimento prevalente e non né sposa appieno i canoni ortodossi, si dice: “Ha connotati di sensibilità a sinistra che agitano i sonni dei reazionari e dei dirigenti dello scudo crociato”. E’ l’eroe fragile di un cambiamento inarrestabile.
Fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e ne fu eletto segretario nel 1959, ha ricoperto più volte la carica di ministro e guidò diversi Governi di centro-sinistra come presidente del Consiglio, attuando negli anni ’74-’76 la strategia dell’attenzione verso il Partito Comunista Italiano.
Venne rapito il 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse che poi lo uccisero il 9 maggio.

Si gettano le basi per la DC
Ancora nel pieno del periodo fascista, Moro ed altri componenti del Movimento Cattolico, tengono degli incontri segreti presso l’abitazione di Giorgio Enrico Falck (un imprenditore milanese). Del gruppo, fanno parte anche Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Attilio Piccioni e Giovanni Gronchi, provenienti dal (disciolto) Partito Popolare Italiano di Don Luigi Sturzo, erano poi presenti agli incontri, Giulio Andreotti, che proveniva dall’Azione Cattolica, Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti e Paolo EmilioTaviani provenienti dalla FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana).
Quello che viene considerato l’atto ufficiale della fondazione della Democrazia Cristiana, è il documento redatto da De Gasperi e discusso dal gruppo riunito a casa di Giuseppe Spataro a Roma, il 19 marzo del 1943: “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”.

Moro, nel partito appena costituito evidenziò immediatamente uno spirito democratico-sociale, proprio di una corrente considerata la “sinistra DC”, venne eletto al Parlamento nel ’48 e nel ’52 con Segni, Colombo, Rumor e altri, costituì la corrente iniziativa democratica, con la guida di Fanfani.
Fu lui che nella seconda metà degli anni cinquanta, da ministro dell’Istruzione, introdusse la materia dell’educazione civica nelle scuole.
E’ senz’altro frutto dell’intuizione di Aldo Moro, la necessità di consegnare agli italiani la conoscenza di tutte quelle regole che regolamentano le attività umane, sociali, burocratiche, politiche, ecc… Racchiuse nel concetto di Educazione civica. La scuola avrebbe così aiutato ad educare gli italiani non solo all’uso della lettura e scrittura ma anche alla presa d’atto di essere cittadini con diritti e doveri. Operazione questa che apre la strada al pensiero politico-sociale individuale ma pure collettivo, che evidentemente Moro, riteneva basilare per uno sviluppo futuro del Paese.

Gli anni che seguirono, videro i Governi democristiani collaborare con Forze politiche di area di centro-sinistra, Partito Socialista Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano, Partito Repubblicano Italiano.
Nella Legislatura 1963 – 1968, il 47enne Aldo Moro, divenne presidente del Consiglio, formando per la prima volta, un Governo con la presenza di esponenti socialisti.

La sua attività di ministro degli Affari Esteri, proseguì la strada politica del predecessore Amintore Fanfani e Moro riuscì ad ottenere un accordo con Yasser Arafat (il leader dell’OLP) nel quale c’era l’impegno a non condurre azioni di terrorismo in Italia. Questo accordo è conosciuto come: patto Moro o lodo Moro.

Dopo la caduta del V governo Rumor 1974, riprese la guida di palazzo Chigi, e riuscì a costituire due Governi a maggioranza centrosinistra, senza però la partecipazione di tutti i partiti della coalizione. Il IV Governo Moro, avviò un primo dialogo col PCI di Enrico Berlinguer nell’ottica del percorso per la costruzione del sistema democratico italiano.
Intanto negli anni tra il ’76 e il 78 la DC Manteneva a fatica la maggioranza di Governo e il PCI continuava la sua ascesa.
Moro che in quel periodo era presidente della Democrazia Cristiana, sosteneva l’idea di un Governo che prevedesse la presenza del Partito Comunista Italiano nella maggioranza, sulla base del concetto di solidarietà nazionale, anche se lo stesso Moro non ipotizzava una distribuzione di ministeri al PCI, almeno non inizialmente.
Il 28 febbraio 1978 si riunirono i gruppi parlamentari Camera e Senato della DC. In quella sede il Presidente della DC Aldo Moro tenne un discorso, allo scopo di trovare l’unità di tutti i parlamentari della DC all’ingresso del Partito Comunista nella maggioranza di Governo. Questo fu il suo ultimo discorso politico pubblico perchè dopo pochi giorni sarà rapito…
L’ipotesi di ingresso del PCI nel Governo, non era gradita sul piano internazionale poiché non riscontrava certamente il consenso delle grandi superpotenze…
Erano gli anni della “Guerra Fredda” e gli Stati Uniti non potevano farsi piacere l’idea che persone vicine al Partito Comunista Sovietico potessero venire a conoscenza di piani militari e strategie della NATO e comunque una presenza comunista in un Paese come l’Italia che era oltretutto sotto l’influenza americana, sarebbe stato un segnale di indebolimento degli USA, nell’ottica mondiale.
Anche l’Unione Sovietica non era entusiasta di una presenza del PCI nel Governo, poichè sarebbe stato letto come un avvicinamento agli americani.
Sulla logica di queste considerazioni, alcuni hanno teorizzato negli anni successivi alla morte di Moro, un’attività segreta operata da quelli che oggi vengono comunemente chiamati “poteri forti” o “poteri occulti” e in effetti si è fatto riferimento ai servizi segreti (anche e soprattutto quelli americani) che avrebbero, sempre secondo alcuni pareri, orchestrato il progetto dell’eliminazione dello statista.
Il Partito comunista, fortemente antitetico con i valori democristiani che prescindendo da Moro, erano saldamente ancorati ad una Politica sicuramente più a destra, che privilegiava, quando possibile la classe dirigente, gli imprenditori e iniziava a guardare con maggiore interesse agli investitori esteri. La priorità politica del PCI era invece in quegli anni rivolta al proletariato che costituiva il punto di forza del Partito ed è proprio alla classe operaia che rivolgeva grande attenzione. Insomma i due Blocchi partitici erano veramente rappresentativi l’uno e l’altro per due fronti di popolazione diversa. Oggi la differenza è sostanzialmente impercettibile e tutti si dicono preoccupati di tutti.

Ombre su Aldo Moro, arrivano dallo scandalo dell’Impresa aerospaziale americana, Lockheed. Moro ed altre personalità politiche, vengono accusati di aver preso tangenti in cambio dell’acquisto di aerei militari C 130.
La posizione di Moro venne definitivamente archiviata i 3 marzo 1978, pochi giorni prima dell’agguato di via Fani.

Il presidente democristiano, fu vittima di un commando delle Brigate Rosse che intercettarono la sua auto tra via Mario Fani e via Stresa a Roma, aprirono il fuoco ed uccisero i cinque uomini della scorta e sequestrarono Aldo Moro. Era il 16 marzo 1978 e in quello stesso giorno si procedeva alla presentazione del Quarto Governo Andreotti.
L’attacco terroristico
Roma, 16 marzo 1978 pochi minuti prima delle 9.00. Tra poco alla Camera dei Deputati, il quarto governo Andreotti dovrebbe ottenere la fiducia, frutto di un lavoro di mediazione che ha visto impegnati i leader dei principali partiti italiani, fra cui, anche i comunisti.
Dall’abitazione romana in via Forte Trionfale 79, esce il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, fautore di quel rivoluzionario progetto politico che ha aperto ai comunisti nell’ambito dei governi di “solidarietà nazionale”.
Ci sono due macchine ad attendere l’uomo che sta “aprendo a sinistra”: un’Alfetta bianca e una Fiat 130 blu. Moro sale sul sedile posteriore di quest’ultima. Alla guida siede l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, accanto il maresciallo Oreste Leonardi, subito dietro la vettura di scorta, al cui interno ci sono tre agenti di Ps: l’agente Giulio Rivera alla guida, al suo fianco il vice brigadiere Francesco Zizzi e sul sedile posteriore, lato passeggero, l’agente Raffaele Iozzino.
Dopo poche centinaia di metri il piccolo corteo di macchine prende via Fani. Mentre Moro, sta leggendo i giornali, dalla fila di macchine parcheggiate sulla destra, si immette sulla carreggiata una Fiat 128 bianca, tipo giardinetta e con targa diplomatica dell’ambasciata del Venezuela (rubata nel 1973) proprio per la targa diplomatica l’appuntato Ricci non si insospettisce più di tanto e rallenta, facendo terminare la manovra alla Fiat 128, che, quindi, si va a trovare davanti alla vettura dove c’è Aldo Moro.
All’incrocio fra via Fani e via Stresa, la 128 frena, l’appuntato Ricci, alla guida della Fiat 130, frena a sua volta e prova a sterzare verso destra ma viene tamponato dall’Alfetta di scorta, che probabilmente viene bloccata posteriormente da un’altra vettura dei terroristi, in quella che tecnicamente viene definita mossa a “cancelletto” già usata dai brigatisti tedeschi in precedenti operazioni.
Da una siepe davanti al bar Olivetti, sbucano fuori quattro uomini vestiti da avieri, tirano fuori le armi e iniziano a sparare. Due sulla macchina presidenziale e due su quella di scorta.
La pioggia di colpi esplosi dai quattro terroristi, ai quali intanto se ne sono aggiunti altri, uccide l’appuntato Ricci, il maresciallo Leonardi e sull’Alfetta il vice brigadiere Zizzi e l’agente Rivera. L’agente Raffaele Iozzino, riesce a scendere dall’auto di servizio e spara due colpi prima di essere ucciso “da qualcuno che copriva l’azione da destra”. Sull’asfalto vengono rinvenuti 91 bossoli (compresi quelli esplosi dall’agente Iozzino), provieniti da armi differenti: una pistola Smith&Wesson calibro 9, che esplode 8 colpi; una pistola Beretta che ne spara 4; una pistola-mitra, probabilmente Mod FNA1943, che ne scarica 22; una pistola-mitra Sten o FNA1943 che ne esplode ben 49; una pistola mitra TZ45, che ne spara 5, e, infine, una pistola-mitra Beretta M12 che esplode 3 colpi. Un volume di fuoco incredibile che, però, lascia totalmente illeso l’onorevole Moro.
Il numero degli uomini che parteciparono all’agguato non è stato accertato, anche se si ritiene siano stati 9 in tutto, probabilmente in 5 a sparare.
Un attacco studiato dall’esecuzione che fa pensare ad un’azione di stampo paramilitare.
Resta un atroce interrogativo sulla scelta del luogo. Perché i terroristi preferirono rapire Moro in via Fani, scartando soluzioni ben più semplici, come, ad esempio, lo stadio dei Marmi, dove lo statista quasi ogni mattina faceva una passeggiata a piedi in compagnia del solo maresciallo Leonardi? La risposta non c’è. Di sicuro volevano la strage, l’azione eclatante.

Dopo 55 giorni il corpo senza vita del presidente fu ritrovato a via Caetani, nel portabagagli di una Renault 4 rossa.
Lo statista aveva 61 anni, fu sepolto nel comune di Torrita Tiberina, un paese della provincia romana dove Moro amava soggiornare.
Una solenne commemorazione funebre pubblica per la scomparsa di Aldo Moro, venne celebrata il 13 maggio da Papa Paolo VI, suo amico di sempre, a cui parteciparono personalità politiche italiane. Ma la cerimonia funebre venne celebrata senza il corpo di Aldo Moro, la cui famiglia esplicitò questo volere e non partecipò alla cerimonia, ritenendo che lo Stato italiano non avesse fatto nulla per salvare la vita di Moro, rifiutando il funerale di Stato e scegliendo una funzione privata presso la chiesa di San Tommaso di Torrita Tiberina.

Nel corso della sua prigionia, Moro scrisse diverse lettere e oltre alle tante indirizzate alla sua famiglia, ne scrisse anche agli uomini della dirigenza della DC, esattamente a Benigno Zaccagnini, a Francesco Cossiga, a Giulio Andreotti, a Riccardo Misasi e altri ancora.
Lo Statista però scrisse anche al leader socialista Bettino Craxi, che fu l’unico esponente del Governo che si schierò per la linea della trattativa con le B.R. per tentare di salvare la vita di Moro.
Gli esami grafologici, hanno confermato che tali lettere siano state scritte dallo statista, tuttavia in quel momento la LINEA DELLA FERMEZZA e la “necessità” di chiudere qualsiasi spiraglio alla trattativa con i brigatisti, adottata dalla Politica, in special modo quella della DC, indussero a mettere in dubbio la loro autenticità e persino che i contenuti fossero stati pensati dal politico e che esisteva anche la possibilità che queste lettere fossero frutto di una dettatura delle Brigate Rosse…
Di diverso parere furono i familiari e diversi studiosi, che riconobbero pienamente Moro, in quelle lettere.

Il presidente della DC, nel periodo del suo sequestro, sostenne diversi interrogatori da parte di Mario Moretti, il brigatista che colloquiò lungamente con lui. Moro tenne nota di questi interrogatori su alcuni quaderni e questi appunti furono poi dattiloscritti dalle BR. Il Memoriale Moro.
Tutti gli interrogatori erano registrati, ma le bobine con le domande di Mario Moretti e le risposte di Aldo Moro, non vennero mai ritrovate…

Un grande statista dalle profonde intuizioni politiche, lungimirante fino ad essere precoce e costituire un pericolo per la stabilità democristiana, messo a tacere per sempre in una maniera ignobile.
Segue l’ultima lettera da lui scritta alla moglie, quando era già consapevole dell’imminente epilogo.
Per ricordare i 40 anni dalla scomparsa di Aldo Moro che oltre ad essere un grande statista era principalmente un Uomo.

Marzo 1978, recapitata il 5 maggio 1978

Mia dolcissima Noretta,

dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sé e dell’incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l’indirizzo della mia vita. Ma ormai non si può cambiare. Resta solo di riconoscere che tu avevi ragione. Si può solo dire che forse saremmo stati in altro modo puniti, noi e i nostri piccoli. Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della D.C. con il suo assurdo ed incredibile comportamento. Essa va detto con fermezza così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso. E’ poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall’idea che il parlare mi danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare. E questo è tutto per il passato. Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Per carità, vivete in una unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni e cari amici, che ringrazierai tanto, per le vostre esigenze. Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani.
Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile.
Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienmi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto anto Luca) Anna Mario il piccolo non nato Agnese Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto.
Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta.
Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo.

Senza firma