TRUMP HA PURE LA GRANA DELLA CORTE SUPREMA

DI MICHELE MARSONET

In vista delle imminenti elezioni presidenziali del 3 novembre, Donald Tump deve affrontare un altro problema spinoso. E’ infatti mancata, all’età di 87 anni, Ruth Barder Ginsburg, giudice della Corte Suprema Usa. Nominata da Bill Clinton nel 1993, era un’icona dei progressisti americani e ostile senza tentennamenti al presidente in carica.
I democratici, a partire dal loro candidato presidenziale Joe Biden, hanno chiesto a Trump di non procedere subito alla sua sostituzione e di attendere invece l’esito delle elezioni. Ma è noto che, in casi simili, il tycoon newyorkese ha l’abitudine di procedere come uno schiacciasassi, ed è proprio questo il motivo del consenso che continua a ricevere dagli ambienti conservatori e dal loro elettorato di riferimento.
Trump ha infatti annunciato che nominerà il nuovo giudice in tempi brevissimi, possibilmente già nella settimana in corso. Si è quindi scatenato un dibattito feroce, con i democratici che lo accusano di abuso di potere. Nancy Pelosi e altri esponenti dem invocano addirittura – e per l’ennesima volta – l’impeachment del presidente repubblicano.
Non si accorgono, tuttavia, di aver minacciato – e perseguito concretamente – l’impeachment ormai troppe volte e senza conseguenza alcuna. Una buona parte dell’opinione pubblica reagisce con fastidio al continuo tentativo di eliminare il presidente utilizzando la via giudiziaria e, alla fine, anche parecchi democratici temono che questo metodo rafforzi l’immagine trumpiana invece di indebolirla.
Ma qual è in realtà la vera posta in gioco nel caso in questione? Per rispondere al quesito occorre capire il ruolo che negli Stati Uniti svolge la Corte Suprema. Si tratta della più alta corte federale americana, ed è anche l’unico tribunale la cui disciplina sia specificamente regolata dalla Costituzione.
I nove membri sono nominati a vita, e se uno dei posti si rende vacante, come è accaduto in seguito al decesso di Ruth Barder Ginsburg, il presidente Usa provvede a nominare un nuovo giudice dopo aver ottenuto il consenso del Senato sul nome da lui proposto. Nulla, insomma, indica che un presidente in scadenza di mandato non possa procedere alla nomina.

Per quanto abbia fama di grande autorevolezza e indipendenza, la Corte Suprema è pur sempre specchio della società americana. Da sempre sono presenti uno schieramento progressista e uno conservatore, e la prevalenza dell’uno o dell’altro determina ovviamente le decisioni della Corte.
Donald Trump ha intenzione di rafforzare la componente conservatrice, mentre i democratici cercano di impedirglielo. Il nuovo giudice sarà sicuramente una donna e tale proposito circolano alcuni nomi che il presidente ha in mente.
Ben piazzata appare la 48nne Amy Coney Barrett, giudice a Chicago. Piuttosto giovane per il ruolo, era molto vicina ad Antonin Scalia, nominato alla corte da Ronald Reagan e deceduto nel 2016. Cattolica e anti-abortista, il suo nome è considerato una garanzia per mantenere la maggioranza conservatrice nella Corte Suprema.
Molto quotata è però anche la 53nne Barbara Lagoa. Nata a Miami, è figlia di esuli cubani anti-castristi rifugiatisi in Florida, ed è stata la prima donna di origini ispaniche a diventare giudice federale in quello Stato. Anche lei, come Amy Coney Barrett, è una conservatrice. Nel suo caso la nomina assumerebbe una dimensione più politica.
La comunità di origini ispaniche ha infatti un peso crescente nella scena politica Usa, e tutti sanno che la Florida rappresenta uno “swinging state”, sempre in bilico tra repubblicani e democratici e spesso attribuita agli uni o agli altri con scarto minimo di voti.
Nominando Barbara Lagoa, è probabile che Trump riuscirebbe ad acquisire molti voti “latinos” che ora sono incerti. Si vedrà se il suo noto fiuto politico lo condurrà in quella direzione, oppure se darà la precedenza ai suoi buoni rapporti personali con la Barrett.
Nel frattempo la maggioranza repubblicana al Senato appare blindata. Anche Mitt Romney, uno dei più strenui oppositori di Trump nel suo partito, si è allineato dicendosi pronto ad votare la nomina decisa dal presidente.

#MicheleMarsonet

Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Scholar” presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), e di New York (U.S.A.).
– È attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Filosofia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Prorettore all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova.
– È Fellow del New College dell’Università di Oxford (U.K.), e del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– È stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri tra cui: City University of New York, Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), Melbourne (Australia), Oxford, Londra, Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna).
– È autore di 26 volumi e curatele, di cui 4 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti e Gran Bretagna, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere.
– È giornalista pubblicista.