IL TEMPO DELLA GIUSTIZIA E DELLA VERITA’

DI: MARINA POMANTE

 

Articolo scritto il 1 dicembre del 2017

La Giustizia, a volte, per arrivare alla verità fa dei percorsi immensi, infiniti, l’attesa è fatta di dolore ed i cicli della vita sono corrosi ed esacerbati dal tempo che passa.
Nello scorrere dei giorni si cerca quel motivo, quel sollievo, che riesca a farci accettare la morte di una giovane vita.
Ci sono voluti 16 anni per arrivare alla sentenza italiana che, anche se non restituisce Maria Grazia Cutuli alla vita, riconsegna ai familiari ed agli amici, un senso di giustizia e riconosce il valore del lavoro di questa giornalista che ha rappresentato l’italia all’estero, lottando per il diritto all’informazione e cercando la verità dove si fa di tutto per nasconderla.

LA CONDANNA
La prima sezione della Corte d’Assise di Roma, pone fine a questa lunga attesa durata 16 anni. Il tribunale si è pronunciato ed ha emesso a carico di Mamur e Zar Jan la pena di 24 anni di reclusione ed il risarcimento di 250 mila euro ciascuno, per Rcs e per i familiari.
Mamur Golfeiz e Zar Jan Khan, sono i due afghani di origine pashtun responsabili della morte di Maria Grazia Cutuli e di altri 3 giornalisti occidentali oltre agli interpreti di Maria Grazia e del giornalista spagnolo del “Mundo” Julio Fuentes.
La Procura di Roma aveva chiesto per i due imputati una pena di 30 anni di carcere. Gli avvocati della difesa dei due uomini, hanno anticipato già l’intenzione di ricorrere in appello.

Mamur e Zar Jan, sono stati già condannati in Afghanistan a 16 e 18 anni di reclusione.
Per la stessa vicenda è stato assolto per dubbi sull’identificazione Jan Mar, e vennero prosciolti per insufficienza di prove Fedai Mohammed Taher e Jan Miwa. Reaza Khan, fu invece arrestato e processato nel 2007 a Kabul, dove venne riconosciuto colpevole e quindi giustiziato.

Si è risaliti all’identificazione dei responsabili dell’atto omicida, in parte grazie a un video girato da giornalisti filippini,aggrediti sulla stessa strada tra Jalabad e Kabul il giorno prima.

L’AGGUATO
E’ il 19 novembre 2001 alle 5,30 del mattino, 20 giornalisti sono in partenza con otto vetture da Jalalabad alla volta della capitale afghana.
Ad inizio convoglio si trova la Toyota Corolla che trasporta Maria Grazia Cutuli del “Corriere della Sera”, lo spagnolo Julio Fuentes giornalista del “Mundo”, l’autista afghano e l’interprete. Nel secondo veicolo si trovano, Harry Burton il cameraman australiano e il fotografo afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti del “Reuters”.
Durante il tragitto il convoglio si frammenta agevolando suo malgrado l’obiettivo degli assalitori. Mancano ancora tre ore di viaggio quando nei pressi della città di Surobi, a circa 70 chilometri ad est di Kabul, in prossimità di un ponte in cemento e pietra, otto uomini armati bloccano le due automobili, i giornalisti vengono fatti scendere dalle auto e obbligati ad allontanarsi dalla strada, fino all’angolo della montagna. Maria Grazia cade a terra a causa di una pietra lanciata contro lei da un attentatore, poi gli assassini uccidono i 4 giornalisti a colpi di Kalashnikov,
tutto nel breve termine di soli 5 minuti.
Uno degli uomini armati ruba alcuni oggetti personali della giornalista: la borsa, un paio di scarponi, il computer, la radio e la macchina fotografica. L’attentato non viene rivendicato da nessuna organizzazione.
All’epoca dell’attentato l’inviato della televisione catalana Tv3, San Juan, raccontò che dopo due ore di viaggio, si trovava in fondo alla colonna, vide due auto tornare indietro di corsa: a bordo c’erano solo i guidatori locali che gridavano «fermatevi, tornate indietro». Tutti gli altri veicoli ritornarono verso Jalalabad e dopo un’ora gli autisti si fermarono per raccontare cosa fosse accaduto. “Hanno detto che avevano sparato a sei persone”, ha riferito San Juan, ma “non sono in grado di dire se siano vivi o morti”.

Ashuqullah, l’autista dell’auto dov’era Maria Grazia, raccontò: “Durante il viaggio l’atmosfera è rilassata. Julio dormicchia. Maria Grazia fuma e mangia pistacchi. Ci fermiamo solo una volta: lei fotografa i cammelli. Ci sono altre auto di giornalisti davanti e dietro. Ma non è una colonna organizzata, ognuno va alla velocità che preferisce. Viaggiamo circa a quaranta chilometri all’ora nella zona di Surobi. Alle 11.30, veniamo fermati
da otto uomini armati. Prima sparano a Julio dal davanti, non una raffica, ma colpi singoli. Poi a Maria Grazia, infine sparano in tanti, almeno quattro mitra contro tutti…”

Nella zona che collega Jalalabad a Kabul, su quel tratto di strada, ancora oggi i convogli che percorrono quell’area, passano a velocità sostenuta non fermandosi qualunque cosa accada e tengono una distanza tra i veicoli che non sia troppo larga da permettere l’inserimento di auto e che non sia
troppo breve per permettere brusche frenate per deviazioni. Nella trasmissione televisiva Overland alla Rai, venne descritta in un reportage sull’Afghanistan, questa cautela da osservare, malgrado non ci sia più la guerra poiché il rischio resta elevato a causa di tribù insediate sulle montagne. Le Forze dell’Onu presenti nella zona, sono in costante presidio e in molti tratti dell’Afghanistan, si deve ricorrere all’aiuto della scorta.

PERCHE’
Lo stesso giorno della morte della giornalista, il Corriere della Sera, pubblicava il suo ultimo articolo, su un’inquietante rinvenimento presso Farm Hada (Afghanistan), un posto sperduto in mezzo a una landa rocciosa, a un’ora di macchina dalla città di Jalalabad, una base abbandonata dopo la frettolosa ritirata dei talebani. I giornalisti del Corriere della Sera e del Mundo, tra scodelle incrostate dai resti di cibo, stracci, mine e
ordigni esplosivi, gettati alla rinfusa, trovano una scatola di cartone con un’etichetta scritta in russo che descrive il contenuto: gas sarin e sotto, l’indicazione sull’antidoto, l’atropina, l’unica sostanza capace di contrastare gli effetti letali del micidiale gas.
Julio Fuentes, il giornalista del Mundo, la incide di lato e ne sfila una ad una, venti fialette in vetro bianco, ampolle sottili come siringhe da insulina, strozzate alle estremità, separate una dall’altra da scomparti di cartone.
Un elemento che prova che gli arsenali dello sceicco saudita Osama Bin Laden, non comprendono solo kalashnikov, missili o granate, ma anche armi non convenzionali, da utilizzare probabilmente in attacchi terroristici in tutto il mondo.
I giornalisti prendono l’etichetta e lasciano sul posto le fiale, sarebbe troppo rischioso portarle via, il Sarin è una neuro-tossina letale.
Non ci sono mujaheddin a custodire la base. Non c’è nemmeno la sicurezza che nell’area non ci siano gli arabi di Osama. E’ invece sicuro che qualcuno sia passato lì, dopo l’abbandono della zona dei membri di Al Qaeda, a chiudere con i lucchetti ogni portone. Come spiegato dalla guida sono gli uomini di Younis Khalis, i miliziani dello stesso leader politico che dopo un lungo negoziato, ha costretto i talebani a lasciare la regione.
Nella base di una decina di chilometri quadrati, vivevano famiglie di alcuni seguaci di Osama Bin Laden, in bunker sorvegliati dai miliziani armati.
Da Farm Hada potrebbero essere passati migliaia di combattenti islamici, per la preparazione militare e spirituale alla Jihad contro l’Occidente.
Negli edifici provvisti di acqua e luce, fornita da enormi generatori, apparecchiature satellitari, archivi e documenti, ora restano solo mezzi militari, camion, pezzi di artiglieria, un numero impressionante di munizioni e il contenitore del gas nervino.

LO SPIRITO E L’UMANITA’ DI MARIA GRAZIA
la giornalista del Corriere della Sera, uccisa in Afghanistan descriveva così Kabul: “Città di spie, Kabul, messe alle costole di ogni straniero.
“Capitale di macerie, di mendicanti che stazionano a ogni incrocio, di bambini laceri e affamati”.
Catanese, nata il 26 ottobre 1962, lunghi capelli rossi, fisico minuto, sofisticata, coraggiosa e testarda. Laureata in filosofia con 110/110 e lode all’Università di Catania con una tesi su Spazio e potere di Michel Foucault.
Iniziò la carriera giornalistica nel 1986, nel principale quotidiano della Sicilia orientale, “La Sicilia” e condusse l’edizione serale del telegiornale dell’emittente televisiva regionale Telecolor International. Trasferita in seguito a Milano, inizia a lavorare per il mensile “Marie Claire”. Ottiene contratti a termine dal mensile “Centocose” e dal settimanale “Epoca”.
Maria Grazia Divenne una giornalista professionista e collaborò con l’UNHCR agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati consacrando così la sua grande passione di impegno umanitario.
Nel 1999 viene assunta a tempo indeterminato alla redazione esteri del “Corriere della Sera”.
Maria Grazia diceva che se non fosse diventata giornalista, sarebbe voluta diventare operatrice umanitaria.

LA FONDAZIONE CUTULI
Nel 2011 a Kabul è sorta una scuola voluta dalla Fondazione Cutuli, il fratello Mario disse: “un segno tangibile dell’amore di Maria Grazia per quei paesaggi, per quei cieli, per quella gente, per quei bambini”.
La Fondazione, assegna premi giornalistici a report che abbiano dimostrato passione e competenza, inoltre nel pieno spirito degli scopi statutari, promuove e finanzia corsi di perfezionamento post-universitario per inviati nelle zone di crisi.
Nel 2011 l’editrice “Ali & No” nella collana “Farfalle”, ha pubblicato il libro Maria Grazia Cutuli. Nel libro, scritto dalla giornalista Cristiana Pumpo, vene descritta Maria Grazia come colei che ha saputo tradurre i giorni della sua vita in passione. Racconta la determinazione l’Inquietudine, la curiosità, il rigore e gli affanni di chi decide, spesso contro la mentalità corrente che il corso della vita debba rispondere solo alle ragioni del proprio sentire e si metta in viaggio.
Il giornalista Carlo Bonini, curando la prefazione del libro, scrive: “il giornalismo c’entra, certo. Ma non spiega tutto. E’ un indizio, il sintomo di una irrequietezza, della fame di vivere dentro le cose. Lì dove le cose accadono. Di una ricerca di empatia con altri Mondi, altri esseri umani. Possibilmente diversi, diversissimi, da se. Da condividere”.

L’ISTANTE INFINITO
In questo Mondo dove tutto è a rovescio, dove l’importanza che si dà alla vita ha il valore di un cerino acceso, c’è ancora chi pretende, si interroga e cerca la verità dove la verità è l’unica possibilità di salvezza, per non ripetere gli errori e gli orrori di una qualunque guerra che, bieca, assassina, non conosce umanità e irrefrenabilmente sposta le proprie priorità verso il Potere del qualunque Stato. E’ lì, che si scorgono piccoli ma grandi eroi che in un frammento, in un istante infinito, congelano in uno scritto la Storia della nostra umanità.