RIPORTARE IN VITA I NEANDERTHAL?

Di Michele Marsonet

 

Certo la scienza non finisce mai di stupire. Eravamo rimasti alla notizia degli scienziati russi che vorrebbero “resuscitare” il mammut, parente stretto – ed estinto – del nostro elefante. Ora irrompe sulla scena un progetto assai più ambizioso e, da certi punti di vista, ancora più affascinante. L’americano George Church, docente di Genetica alla Harvard Medical School, annuncia di voler riportare in vita l’uomo di Neanderthal.
Mica roba da poco. Poiché un conto è il mammut che, per quanto scomparso, non era poi così diverso dagli attuali elefanti. Un altro è il nostro “cugino” neanderthaliano, eterna fonte di misteri e leggende.
In effetti nessuno è finora riuscito a stabilire perché, delle due specie di ominidi presenti sulla Terra nella preistoria, soltanto la nostra (il “Sapiens”), sia sopravvissuta. Il “Neanderthalensis” si estinse invece in un’epoca compresa tra i 30.000 e i 22.000 anni fa, anche se le opinioni circa le date divergono tuttora.
Per molto tempo si ritenne che l’uomo di Neanderthal fosse una sorta di bestione selvaggio e poco intelligente. In seguito si è appurato che il suo aspetto fisico era diverso dal nostro, ma non troppo. La ricostruzione dei tratti facciali ci ha fatto chiaramente capire che, se per caso ne incontrassimo oggi un esemplare, non esiteremmo a classificarlo come essere umano – uomo o donna – e non come scimmia (per quanto evoluta e antropomorfa).
E non basta. I neanderthaliani avevano un cranio più grande del nostro, hanno lasciato consistenti tracce di abilità manuale e di attività artistica, e pare accertato che praticassero il culto dei morti. Avevano insomma una società evoluta e per molti aspetti paragonabile a quella dei nostri antenati “Sapiens”.
Circa i motivi dell’estinzione si sono fatte molte ipotesi. Secondo alcuni furono totalmente sterminati dai nostri progenitori in una sorta di pulizia etnica ante litteram. Altri ritengono che i “Sapiens” li abbiano progressivamente privati dei territori più fertili spingendoli in aree del tutto inospitali. In questo secondo caso, tuttavia, risulta difficile spiegare l’estinzione totale.
La teoria più suggestiva è che le due specie umane abbiano in realtà finito per incrociarsi attraverso unioni miste. Nessuna prova definitiva, almeno finora. Ma, se tale ipotesi fosse corretta, parte del Neanderthalensis sopravviverebbe negli attuali esseri umani. Giova però ripetere che non vi sono evidenze di incroci tra i due gruppi.
Siamo ai limiti della fantascienza e a qualcuno verrà di sicuro in mente il celebre film Jurassic Park. La novità è che, questa volta, si parla di clonare un essere estinto che aveva caratteristiche assai simili alle nostre, anche se è impossibile affermare con sicurezza che un eventuale incrocio nel lontano passato sarebbe stato fecondo.
Com’era lecito prevedere sono subito scoppiate polemiche violente. Church ha ottenuto dalle ossa fossili una quantità di DNA sufficiente a ricostruire la sequenza genetica del nostro cugino estinto. Vorrebbe quindi impiantare tale DNA nelle cellule staminali di un embrione umano ai primi stadi di vita, e trovare poi una donna disposta a ospitarlo nel suo ventre fino al termine della gravidanza.
Ammesso che l’operazione sia tecnicamente fattibile e che la gravidanza abbia successo, è difficile prevedere il risultato. Forse un mostro? Oppure, più semplicemente, un bimbo o bimba che manifesta i caratteri di entrambe le specie?
Fioccano ovviamente i problemi giuridici e, soprattutto, etici. Secondo il genetista Giuseppe Novelli, far nascere il clone di un Neanderthal da una donna sarebbe possibile teoricamente, impossibile in pratica, inaccettabile dal punto di vista etico e insostenibile economicamente. Novelli aggiunge che “Le probabilità che si possano mescolare con successo il DNA di due specie diverse, o anche di due famiglie oppure di due ordini diversi di una stessa specie, sono praticamente nulle”.
Ancora più importante il risvolto etico: “è moralmente inaccettabile l’idea di creare delle chimere utilizzando per giunta l’utero di una donna”. Problema che Church non si pone, preferendo invece insistere sul carattere innovativo della sua proposta ed esaltando l’autonomia di una scienza che non deve farsi condizionare da vincoli etici e sociali.
In attesa di vedere come andrà a finire, si noti che la scienza – e le sue applicazioni tecnologiche – precorrono spesso le più sfrenate fantasie umane. Il confine tra possibile e impossibile diventa sempre più labile, come quello tra lecito e illecito. Preoccupante, ovvio, ma anche segnale dell’insaziabile desiderio umano di conoscenza.

 

#Michele Marsonet

Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Scholar” presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), e di New York (U.S.A.).
– È attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Filosofia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Prorettore all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova.
– È Fellow del New College dell’Università di Oxford (U.K.), e del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– È stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri tra cui: City University of New York, Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), Melbourne (Australia), Oxford, Londra, Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna).
– È autore di 26 volumi e curatele, di cui 4 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti e Gran Bretagna, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere.
– È giornalista pubblicista.