RIESPLODE NEL CAUCASO IL CONFLITTO TRA AZERI E ARMENI

Di Michele Marsonet


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Dopo un periodo di tregua, è riesploso il conflitto tra azeri e armeni nel Nagorno Karabakh, piccolo territorio a larga maggioranza armena totalmente circondato dall’ Azerbaijan. E, come già in passato, entrambi fanno ricorso ai rispettivi “protettori”. Gli armeni sono appoggiati dalla Russia di Putin, gli azeri dalla Turchia di Erdogan.
Ciascuno dei contendenti sostiene di aver inflitto pesanti perdite all’avversario, ma per ora non si dispone di notizie certe anche perché non vi sono osservatori internazionali in loco. Si tratta, in fondo, di una riedizione della secolare lotta tra l’impero zarista e quello ottomano, entrambi desiderosi di controllare la strategica regione del Caucaso.
E senza dimenticare che sul conflitto si allunga l’ombra del “genocidio armeno”, il grande massacro perpetrato dai turchi nei primi decenni del ’900 e di cui Ankara tuttora nega l’esistenza, nonostante esso sia ormai largamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Calcoli prudenti fanno ammontare a 1,5 milioni gli armeni che persero la vita in quei tragici eventi.
Armenia e Azerbaijan facevano entrambi parte della defunta Unione Sovietica, e in quel periodo i rapporti tra le due repubbliche ex sovietiche erano normali, anche grazie al ferreo controllo esercitato da Mosca che puniva qualsiasi tendenza autonomista. Crollata l’Urss, tuttavia, i vecchi odi hanno subito ripreso il sopravvento e la parola è passata alle armi.
L’ Azerbaijan ritiene che il Nagorno Karabakh sia parte integrante del proprio territorio. L’Armenia ha invece appoggiato la nascita di un movimento indipendentista basandosi sul fatto che l’enclave è abitata da popolazione armena. Non appare possibile alcuna ipotesi di convivenza proprio per l’odio profondo accumulato nel corso della storia.
I nuovi scontri militari, oltre che per la loro gravità intrinseca, sono importanti perché accentuano ancora una volta la tensione tra Russia e Turchia. Nel 2016 Putin aveva aiutato Erdogan a sventare il golpe militare poi fallito (anche perché mal organizzato), ma i due Paesi si trovano da tempo in rotta di collisione per ragioni di geopolitica.
Caso emblematico è la Libia, dove i turchi sono riusciti, con un intervento militare rapido e di successo, a bloccare l’avanzata del generale Haftar – appoggiato dai russi – così favorendo il governo di Tripoli capeggiato da Fayez al-Sarraj. Né vanno dimenticate le tensioni in Siria, dove un aereo russo venne addirittura abbattuto dai turchi. Ora si dice che Erdogan abbia fatto affluire nel Nagorno Karabakh milizie islamiste siriane, da lui già utilizzate contro Assad ma, pure in questo caso, non vi sono conferme e Ankara smentisce.
Si deve notare che gli azeri, sono musulmani, turcofoni e di etnia turca. La Turchia dunque li sostiene nell’ambito del progetto neo-ottomano di Erdogan che punta, in modo piuttosto evidente, a restaurare il Sultanato e ad assumere la leadership in ambito sunnita. Per questo appoggia tutte le popolazioni turcofone come, per esempio, gli uiguri, oggetto di una pesante persecuzione nella Repubblica Popolare Cinese.
Dal canto suo l’Armenia, che vanta una delle più antiche chiese cristiane del mondo, è stata sempre supportata dai russi anche in occasione di scontri militari precedenti, e da loro dipende tanto economicamente quanto dal punto di vista delle forniture militari.
L’Azerbaijan è un Paese importante non solo per le enormi risorse energetiche (gas e petrolio) di cui anche l’Italia è tributaria, ma pure per la sua posizione strategica nella regione caucasica. E’ governato da Ilham Aliyev, figlio di Heydar Aliyev, già segretario del locale Partito Comunista nell’era sovietica. Dunque un’altra dinastia al governo, attenta però a prevenire ogni insorgenza di fondamentalismo in una nazione che è totalmente islamica.
Da notare che tanto Armenia quanto Azerbaijan non sono certamente esempi di democrazia e lasciano entrambi a desiderare dal punto di vista dei diritti umani. Alcuni osservatori tendono ad attribuire l’ostilità tra i due Stati all’eterno conflitto tra cristianesimo e islam, ma la spiegazione è più complessa e va piuttosto spostata sul terreno geopolitico ed energetico.
L’Armenia è più povera e meno dotata di risorse energetiche, ma è comunque riuscita a risultare vincitrice nei numerosi conflitti prima menzionati. Gli azeri imputano tale situazione all’aiuto russo, che in effetti c’è sempre stato, e proprio per questo vedono in Erdogan colui che può farli prevalere nel conflitto con gli armeni.
Tra l’altro gli azeri hanno una tradizione culturale tollerante e cosmopolita, ulteriormente rafforzata nel periodo sovietico quando l’elemento religioso, pur senza subire proibizioni ufficiali, non era di certo incoraggiato in scuole e università. Significativo, inoltre, che il russo venga sempre meno usato come lingua veicolare, e qui la frattura generazionale è evidente. Lo parlano correntemente tutte le persone oltre i 40 anni, segno evidente del ruolo primario che aveva ai tempi della ex Urss. I giovani usano invece l’azero, lingua per l’appunto strettamente imparentata con il turco.
Non è quindi un caso che la Turchia rappresenti ora un punto di riferimento, non solo per l’affinità linguistica cui accennavo in precedenza, ma anche per ragioni culturali e geografiche. Da quando è iniziata l’era di Erdogan, che ha subito manifestato la volontà di restituire alla nazione il ruolo perduto dopo il crollo dell’Impero ottomano, i turchi si sono molto adoperati per scalzare l’influenza russa e ci sono almeno in parte riusciti.
Miracoli di gas e petrolio, che gli azeri possiedono in abbondanza e i turchi no. Si rammenterà che uno dei principali obiettivi dell’operazione Barbarossa di Hitler erano proprio i pozzi petroliferi azeri di Baku, giudicati in grado di colmare la penuria energetica del Terzo Reich. I tedeschi non li raggiunsero mai, ma l’iniziale spinta della Wehrmacht verso il Caucaso era per l’appunto giustificata dalla necessità di impadronirsi del petrolio azero.
In ogni caso è chiaro che anche in questo contesto geografico Russia e Turchia sono impegnate l’una contro l’altra, nonostante le dichiarazioni ufficiali di amicizia. Erdogan e Putin hanno già dimostrato di essere abili giocatori nello scacchiere internazionale, ed è sorprendente che i turchi, meno potenti dei russi sul piano militare, osino sfidarli in modo aperto. Né si può evitare di notare l’assenza dell’Unione Europea anche in questo importante scacchiere strategico.

Michele Marsonet

 

Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova, e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di “Visiting Scholar” presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), e di New York (U.S.A.).
– È attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Filosofia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova.
– È stato Prorettore all’Internazionalizzazione dell’Università di Genova.
– È Fellow del New College dell’Università di Oxford (U.K.), e del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh (U.S.A.).
– È stato Visiting Professor presso molti Atenei stranieri tra cui: City University of New York, Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), Melbourne (Australia), Oxford, Londra, Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna).
– È autore di 26 volumi e curatele, di cui 4 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti e Gran Bretagna, e di circa 300 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere.
– È giornalista pubblicista.