Ostia sequestrato l’intero patrimonio del clan Spada di Ostia


Confiscato in via definitiva l’intero patrimonio del clan Spada che diventa così patrimonio dello Stato.
L’operazione è stata eseguita dalla Guardia di Finanza, il provvedimento è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma per la confisca dei beni mobili e immobili per un valore complessivo di 18 milioni. Tra i beni, che erano stati posti sotto sequestro ad ottobre del 2018, anche la palestra ad Ostia dove Roberto Spada nel novembre del 2017 aggredì il giornalista della Rai Daniele Piervincenzi.

Si tratta di tutto il patrimonio aziendale inerente a: 19 società, 2 ditte individuali e 6 associazioni sportive o culturali site nel comune di Roma (per lo più ad Ostia) e operanti in svariati settori: forni, bar, sale slot, distributori di carburanti, palestre, scuole di danza, commercio di autovetture ed edilizia.
Tra le attività in questione c’è anche l’associazione “Femus Boxe” che gestiva la palestra di Ostia dove, nel novembre del 2017, Roberto Spada aggredì, venendo poi condannato per lesioni aggravate dal ‘metodo mafioso’, una troupe della Rai. Gli ulteriori beni confiscati sono costituiti da 2 immobili ad Ostia ed Ardea (Roma), 13 automezzi e disponibilità finanziarie su rapporti bancari e postali.

Il provvedimento, emesso dalla Sezione specializzata misure di prevenzione del tribunale capitolino, costituisce la conclusione delle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della procura di Roma e sancisce l’acquisizione da parte dello Stato dell’ingente patrimonio mobiliare e immobiliare riconducibile al sodalizio criminale attivo sul litorale romano, già sequestato nell’ottobre 2018.
Gli specialisti del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno ricostruito le ricchezze illecitamente accumulate dagli esponenti di spicco del clan, il capo Carmine Spada alias ‘Romoletto’, Ottavio Spada, Armando Spada, Roberto Spada e Claudio Galatioto, individuandone le fonti di finanziamento occulte.
Le ulteriori indagini approfondite sullo stato economico-patrimoniale effettuate durante le operazioni di polizia “Eclissi” e “Sub Urbe”, hanno consentito di dimostrare, spiegano le fiamme gialle, “l’incoerenza dei modesti redditi dichiarati dagli interessati con i rilevanti investimenti posti in essere in svariate attività commerciali, finanziati in realtà dai profitti delle condotte delittuose commesse nel tempo, quali estorsione, usura e traffico di sostanze stupefacenti. Né è servito intestare le imprese a compiacenti prestanome, apparentemente estranei al contesto criminale: gli accertamenti hanno riguardato tutte le persone (una cinquantina tra familiari e terzi) coinvolte nelle compravendite di quote societarie, effettuate fittiziamente al solo scopo di ‘schermare’ la titolarità effettiva delle aziende”. In definitiva, “conformemente allo spirito della normativa contenuta nel ‘Codice Antimafia’, la confisca ha permesso di sottrarre al clan beni in grado di inquinare l’economia legale