Di Luca Martini
La Storia del giallo italiano (Marsilio) di Luca Crovi, figlio di cotanto padre, Raffaele, editor e scrittore, studioso e ”padrino del giallo” – ma il libro viene dedicato in memoria anche a Tecla Dozio (1) e Cesare De Michelis – è un vero manuale, quasi scolastico, diviso per capitoli e capitoletti, densi di nomi, titoli, trame, trend letterari e sociali di un genere proteiforme.
C’è un dubbio iniziale, che accomuna padre e figlio: se il giallo primogenito sia Il mio cadavere di Francesco Mastriani (1851) o Il cappello del prete di Emilio De Marchi (1857), entrambi napoletani. Pace. Due certezze, legate a un periodo meno remoto, vengono invece condivise: giallo e noir non avrebbero avuto tanto carattere e fortuna in Italia se, nel secolo dell’affermazione, il ’900, non avessero incontrato editor illuminati (Tedeschi, Del Buono, Grimaldi, Tropea, lo stesso Crovi sr, ecc. ecc.) e lettori che, assente il marketing, non avessero favorito il passaggio degli scrittori prediletti dalla minima alla massima editoria.
Crovi jr parla di identità nazionale e transnazionale raggiunta da quel giallo noir mediterrano che ebbe lontani parenti nei feuilleton francesi del tempo che fu – Misteri di Parigi e Conte di Montecristo inclusi –, e riempì a poco a poco, tra il 1910 e il 1930 le collane popolari poliziesche ai tempi esterofile, fino al decollo nel 1929 del Giallo Mondadori, che diede un nome colorato ai suoi titoli, liberandoli da nomi come “romanzo detettivo” o “del brivido”.
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