Mi sembrava il collo di Nessie, quello che spuntava dalla nebbia-acqua. Mi pareva di essere in Scozia, sulle sponde del Lock Ness, non in Valdarno appena sopra il lago pliocenico. Ma sono diversi milioni di anni che quel lago non c’è più, era solo un miraggio che mi faceva vedere un lago in quella terra, era la nebbia che infruscolava immagini ed idee. Il collo del diplodoco immaginario si è trasformato subito in pinnacolo, è divenuto una guglia scolpita dalla natura. Una guglia, sì, più elaborata di una guglia gotica, di una guglia barocca.
Poi il sole all’improvviso, il lago è scomparso in un attimo e sotto la guglia, sono apparse quelle splendide cattedrali di arenaria, sono apparse le Balze. La luce esagerata del sole che le inondava le costringeva a parlare, e mi parlavano forte, stentorea era la loro voce. Mi hanno parlato dei colori di Masaccio, Masolino, lo Scheggia e Fra Diamante, mi hanno raccontato dei lucidi pensieri di Marsilio e di Poggio, ma mi hanno detto anche del sudore dell’aia durante la trebbiatura, della fatica del contadino che ripara il muro a secco del terrazzamento degli ulivi, della pannuccia a fiorellini della vecchia massaia mentre governa le galline ed i polli dalle zampe gialle. Mi hanno detto del lavoro degli operai dell’Arco, della Pirelli, dell’Italsider, della Familiare .
E hanno parlato forte.
Sono tornato a casa. Avrei potuto raccontare quello che ho udito in colori o in versi, in forme o in parole, ma avevo il pentagramma a portata di mano.
Quello che sentite è ciò che le Balze mi hanno detto.