LA NORMALITÀ DI UNO STUPRO

Di Ivana Fabris

Qualche settimana fa, una stupro di gruppo ha violentato non solo i corpi ma soprattutto le vite di due ragazzine.
Le hanno stuprate in 8.
La dottoressa del pronto soccorso che le ha visitate, era sconvolta dai traumi fisici che hanno riportato.

Ma quasi nessun cenno sui media, nemmeno sui social.
Lo stupro non fa notizia.
Lo stupro è d’uso comune, è qualcosa di normale. La normalità di una cultura che si sente in diritto di sopraffare, di umiliare, di distruggere nel più sadico dei modi.

Non è difficile immaginare cosa lo stupro di un gruppo di uomini possa fare alle vittime.

Calarsi nella situazione è un percorso duro, ma altrettanto necessario per comprendere quanta violenza si sprigioni, quanta volontà di distruzione vi sia, quanto odio provi il branco.

Qualunque vittima costretta a subire ogni genere di abuso perché non c’è orifizio che non viene penetrato, abusato, lacerato.

In balia per ore della follia distruttiva di un branco di uomini inferociti.
Lingue che frugano ovunque, che violano ogni brandello di intimità.
Bocche che mordono la carne, che la addentano fino a farla sanguinare, che lasciano lividi che per giorni saranno il ricordo vivo e tangibile dello stupro per ognuna di quelle vittime.
Bocche che parlano e marchiano per sempre la mente. Delle parole dello stupro non si fa mai cenno ma è un ricordo incancellabile, uno dei più devastanti.

Mani che frugano rabbiose, che stringono, bloccano, picchiano, imprigionano, entrano nel corpo come se fosse solo carne, sangue, nervi privi di sentimenti e pensieri.
Gambe che si fanno spazio e affossano ogni resistenza, che pesano addosso, che paralizzano.

Membri che si alternano nello spingersi dentro al corpo. Uno, due, tre, quattro…alternandosi uno alla volta, poi tutti insieme e poi ancora a turno, incuranti se, forzandoli brutalmente, straziano i muscoli che sono contratti, se la sensazione di sentirsi aprire fino a pensare di squartarsi pervade ogni meandro di corpo e mente della vittima, se le carni si lacerano fino a sanguinare sotto la pressione di una forza bestiale, se in mezzo a tanta violenza, concepiranno un bambino, se infetteranno con i loro fluidi non solo un corpo che era integro ma tutta un’esistenza che si spezza in poche ore, per sempre.

Poi i colpi. Sul viso, sulla bocca, sul naso, sulle gambe, la schiena, la testa.
I capelli tirati allo spasimo, il collo tenuto stretto in una morsa fino a sfiorare l’asfissia.

Il sangue che cola ovunque. Dal volto, dalla vagina, dal retto.
Il dolore instupidisce ma mai abbastanza, mai fino al punto di non essere più lì.

E ancora colpi. Il bacino e i visceri ne incassano uno dopo l’altro senza soluzione di continuità. Ogni antro è forzato, il dolore è totalizzante. Ogni centimetro di pelle, ossa e muscoli è sofferente. I pensieri sono spezzati.

Il corpo in quei momenti è un foglio di carta straccia. Insozzato e strappato.
Preso con forza, girato e rigirato secondo ogni laida fantasia, cavalcato, maneggiato senza che chi lo usa pensi nemmeno un istante ai danni che gli sta infliggendo.
La mente vacilla, poi cede, soccombe.
Non resta più nulla di vivo.

Questa è la normalità di uno stupro di cui non ci si occupa.

E poi c’è il dopo.
Il dopo dei giudizi, il dopo delle sentenze dei benpensanti e dei moralisti del “se la sono cercata”, il dopo della storia scritta da altri sui giornali, il dopo di chi ha la ricetta giusta, quella che avrebbe scongiurato la violenza, il dopo dei “se fosse stata mia figlia non l’avrei mai fatta andare ad una festa a 15 anni”, il dopo di chi finge che non possa succedere se una ragazza, se una donna si comportano secondo i canoni scritti da una società che nello stupro aliena alle donne il diritto di esistere, il dopo di chi non vuole vedere che gli stupratori sono ovunque, il dopo di chi pensa che fare sesso con una prostituta sia normale, normalizzando così, nella coscienza collettiva, lo stupro. Il dopo di chi si compiace, di chi gode dello stupro fantasticando e dando sfogo alla sua perversione, il dopo di chi erotizza lo stupro pensando che sia solo sesso rude, il dopo di una società, di un mondo che per convenienza pensa allo stupro come ad una violenza come un’altra e non come alla volontà di distruzione e annientamento di ciò che una donna rappresenta, il dopo di una collettività che con i tutti i suoi dopo, legittima lo stupro.

Ecco cos’è la normalità dello stupro.
In un mondo che alimenta l’odio per le donne, siamo noi.
Siamo ancora noi.

Ivana Fabris

Friulana d’origine ma milanese per nascita e formazione. Quando la città è diventata la Milano da bere e successivamente spersonalizzante e alienante, fuga nei pressi delle colline del Garda bresciano dove risiede da circa vent’anni.
Politica attiva, questioni sociali e tutto ciò che soddisfa la sua voglia di conoscenza dell’essere umano, le passioni fin dall’adolescenza, supportate da studio continuo, informazione e controinformazione.
Per lavoro, più di due decenni in Sanità pubblica. Poi cambio totale di orizzonte, verso
paesaggismo e giardini, una passione diventata prima studio poi la professione svolta fino a pochi anni fa.
Lettrice instancabile, cinefila sfrenata, appassionata di musica – soprattutto classica ma non disdegna altri generi – viaggiatrice curiosa di scoprire non solo paesaggi, arte e architetture ma anche diverse forme di società e culture, innamorata della fotografia, dell’arte e della comunicazione verbale e non.
59 anni, 2 figlie, 6 gatti, tutta la sua famiglia. Tutta ma non del tutto, perché la famiglia è un luogo sempre aperto ad amici e affetti.