LA “GENERAZIONE ROSSANDA” E QUEL CHE RESTA A SINISTRA

DI TURI COMITO

Ogni volta che se ne va uno dei grandi “vecchi” della sinistra (si pensi a Ingrao, a Magri, ecc.) si registra all’interno di certi circuiti di questa una specie di sorda disperazione mischiata a rassegnazione. La frase che si sente ripetere spesso, e che trovo indicativa di questo stato d’animo, è pressappoco questa “da oggi siamo più soli”.
Come a dire che vengono a mancare pilastri del pensiero critico insostituibili e che la resistenza (non la battaglia ché ormai sono tutte perse) all’avanzare di una destra poliforme e al tempo stesso graniticamente univoca nella sua essenza (il liberismo) si indebolisce sempre più.
Forse non è il momento di essere critici di fronte ad un lutto che tempo stesso umano e politico. Ma forse sì, perché sono questi i momenti nei quali ci si può soffermare a riflettere su alcune cose.
E allora lasciate che ne dica alcune.
“Non siamo più soli” perché è scomparsa una gigante del pensiero di sinistra in questo paese. Per la semplice ragione che eravamo soli già prima, già con loro e già da almeno un trentennio.
Lo sfarinamento della sinistra, intesa come blocco ideologico riformista o rivoluzionario ma in ogni caso antagonista alle forze liberiste, comincia quando la generazione della Rossanda è ancora nel pieno delle sue forze politiche e intellettuali.
E questa generazione, a me pare – e sottolineo il pare perché non sono uno storico delle idee ma un semplice osservatore di fatti e cose – si è rivelata impreparata a cogliere la portata dei cambiamenti epocali che il sistema capitalista aveva già messo in campo a partire dalla fine degli anni 70 del 900 e i cui sviluppi – forse con una rapidità mai vista prima – avrebbero coinvolto singoli, masse, paesi, continenti (se volete, chiamate questo passaggio “Globalizzazione”).
Quella generazione di socialisti e comunisti che hanno fatto l’Italia del dopoguerra e un pezzo importante di storia dell’Europa aveva una fiducia incrollabile in alcuni punti fermi sia politici che ideologici. Quelli politici erano il partito-chiesa (che fosse il PCI fino a Berlinguer o il PSI fino a Craxi) e la sua straordinaria capacità organizzativa di masse di uomini. Era, il partito-chiesa, punto di riferimento essenziale non solo il termini di appartenenza ma anche in termini di critica. Il partito-chiesa era, che lo si amasse o lo si odiasse, il centro attorno a cui le masse dei lavoratori gravitavano e gli intellettuali discutevano.
I riferimenti ideologici, manco a dirlo, erano il marxismo e le sue derivazioni critiche. Ma era anche riferimento l’esistenza stessa dell’Urss che, prima ancora che essere uno Stato, era un oggetto ideologico nel senso che, pur con tutte le critiche che potevano farsi a quello Stato e a quel Sistema, esso rappresentava un elemento di comparazione ideale tra quello che esisteva e quello che poteva esistere.
La sinistra fatta di quei personaggi che oggi piangiamo – specie dopo la magnifica stagione della costruzione della Repubblica e l’assestamento di uno Stato sociale di una certa forza – era una sinistra litigiosa, assai conflittuale, impegnata spesso in battaglie intestine di notevole portata intellettuale ma di poca sostanza politica.
E mentre queste battaglie imperversavano il Capitalismo, come sua natura, cambiava non la sua anima ma il suo corpo, cioè la sua capacità di adattarsi e di adattare a sé l’ambiente che lo circondava.

Gli anni 90 (trent’anni fa) non segnanano solo il crollo, per autodisfacimento, di uno Stato (l’Unione sovietica). Perché quel crollo è anche il crollo politico-idelogico di un punto fermo; del punto di riferimento e di comparazione tra sistemi diversi e tra sistemi simili e immaginati.
Quegli anni segnao anche l’inizio della ennesima trasformazione del Capitalismo e dei capitalisti. Un capitalismo che diventerà quello del terziario, della tecnologia informatica e dalla distruzione delle “classi” specie di quella operaia che ormai è, da quegli anni in poi, del tutto simile (per modi di essere e di interpretare la società e sé stessa) “borghesizzata” se non “piccolo-borghesizzata”.
Questi fenomeni, io credo, non sono stati compresi appieno da quella generazione, dalla “generazione Rossanda”.
Ad esempio la rivoluzione tecnologica informatica (e l’accelerazione che questa ha impresso a tutto il resto della vita sociale, scientifica, economica, finanziaria, politica e culturale dell’Occidente) non mi pare che sia stata sia stata trattata come elemento a sé stante, come il motore, di una rivoluzione capitalistica di ben più ampia portata. Mi pare piuttosto che sia stata non solo sottovalutata, ma considerata addirittura una opportunità di sviluppo e crescita sociale.
Quello che sto cercando di dire è che ho l’impressione che quella generazione di intellettuali di sinistra non abbia intercettato a fondo i cambiamenti profondi di un sistema e che, perdippiù, si sia preoccupata poco di “allevare” eredi in grado di farlo. La generazione successiva a quegli intellettuali impegnati politicamente (oggi novantenni o centenari) e cioè la generazione dei sessantenni di oggi e dei trentenni degli anni 90 è una generazione, complessivamente, scadente politicamente e intellettualmente rispetto a quella che l’ha preceduta. E su questo non credo ci possano essere dubbi. Ma la generazione dei novantenni non era scadente rispetto a quella che l’aveva preceduta. Affatto.
Allora il problema è: non è che ci sia stata, in parte ma forse significativamente in parte, una scarsa attenzione da parte della “Generazione Rossanda” a lasciare una eredità degna del loro impegno e della loro intelligenza?
Forse sì e forse no. Poiché se si guarda al resto d’Europa la situazione è pressocché identica.
Forse quella generazione che tanto oggi ci manca, non so bene per quali motivi (ma forse li intuisco ma sarebbe troppo lungo parlarne), non ha avuto la risolutezza per non solo segnare l’epoca loro ma per segnare quella che avevano davanti.
Non mi si fraintenda, quello che ho scritto non è né un rimprovero (io di certo, non potrei mai permettermelo, in nessun mondo e nessuna circostanza) né un rammarico. E’ solo una riflessione a margine di un fatto umano doloroso che richiama altri fatti dolorosi politici.
E sì è vero a sinistra, siamo “orfani”, spaesati e sempre più soli.
Ma non da oggi.

 


#TURICOMITO

Funzionario direttivo presso Regione Siciliana. Dipartimento di Bruxelles e degli Affari Extraregionali.Regione Siciliana
Palermo, Italia