KEITH JARRETT: NON POSSO PIU’ SUONARE

Di Marco Molendini


Alla fine, dopo due anni e mezzo di silenzio, Keith Jarrett ha trovato il coraggio di confessare: «Il mio futuro è senza il pianoforte». L’ultimo, sublime maestro del jazz, pianista dal tocco sopraffino in perenne sfida con se stesso alla ricerca dell’assoluto,
ha raccontato al New York Times di aver subito due infarti, uno a febbraio l’altro a maggio del 2018: «Sono rimasto paralizzato – ha spiegato al telefono dalla sua casa nel New Jersey, con una voce che con la malattia si è fatta più acuta -. Il lato sinistro del mio corpo è ancora parzialmente paralizzato. Posso camminare con un bastone, ma c’è voluto un anno per poterlo fare». Ha provato anche a rimettere mano al pianoforte, ma solo usando la destra perché la sinistra non si muove. «Quando ho provato a suonare qualche standard be bop ho scoperto che li avevo dimenticati». Il fatto è che soffre anche di vuoti di memoria. «Non so quale sarà il mio futuro» ha confessato. E aggiunto: «Quando mi capita di sentire musica per pianoforte suonata con due mani mi sento frustrato, perché so di non essere più in grado di farlo. E non penso che ci riuscirò più, il massimo che posso sperare per la mia mano sinistra è di riuscire a tenere una tazza di te».
Sono oltre tre anni e mezzo, dal concerto alla Carnegie Hall di New York nel febbraio del 2017, che Keith Jarrett non suona più. Nel 2018 erano stati annunciati dei suoi concerti cancellati, si disse, «per problemi di salute definiti a lungo termine», compresa una performance alla Biennale di Venezia che gli aveva attribuito il Leone d’oro alla carriera. Da allora più nulla. Le voci sul suo stato di salute hanno cominciato a girare, nel mondo della musica. Abbiamo chiesto in giro e l’anno scorso ci era stato confermato che Jarrett non sarebbe stato più in grado di suonare, o almeno di farlo come prima. Difficile, comunque, che uno come lui si possa accontentare di suonare come può. C’è un illustre precedente, quello di un altro gigante del piano, Oscar Peterson, che dopo essere stato colpito da una paresi al braccio sinistro, aveva ripreso a fare concerti, accontentandosi di appoggiare la mano malata sulla tastiera per fare accordi di accompagnamento. Se Jarrett non potrà più suonare, però, non si fermerà la sua musica, visto che la Ecm, la sua casa discografica, ha una quantità enorme di registrazioni live. Del resto, da tempo le sue pubblicazioni discografiche sono rappresentate da registrazioni di concerti (negli ultimi anni documentava tutte le sue performance). Insomma c’è parecchia roba pronta a tener viva la sua arte per anni e anni. E, infatti, ecco annunciato per fine mese, la pubblicazione del suo concerto di Budapest nel 2016. Ma il fatto che il suo nome sparisca dai cartelloni dei festival e dei concerti è per il jazz, e non solo, una notizia pesantissima, visto che è l’ultima grande star ancora in pista, la cui fama è accompagnata dalla scia leggendaria del Kohln concert (non la sua cosa migliore, ma la più popolare) e delle meravigliose performance del trio con Gary Peacock e Jack De Johnette. E poi, a rendere ogni suo concerto un evento speciale c’era, oltre all’indubbia maestria, il peso dell’imponderabile: bastava un colpo di tosse, un flash, un telefonino che scattava una foto per provocare il collasso. Come accadde agli spettatori di Umbria jazz costretti, anni fa a seguirlo in un concerto al buio (aveva fatto spegnere tutte le luci per impedire gli scatti fotografici), o ai parigini della Salle Pleyel quando interruppe la sua performance, disturbato da un impertinente colpo di tosse che, erano sue parole, «uccideva la musica». Ora quei colpi di tosse e quei flash non lo disturberanno più, ma il prezzo è salatissimo. Ed è durissimo da pensare che un così sublime musicista sia stato colpito proprio in quello per cui eccelleva, l’arte pianistica. Un consiglio, per celebrarlo e annegare il dolore, ascolatrlo in uno dei suoi tanti magici momenti con il trio e, allora, propongo una travolgente versione dello standard di Fats Waller Honeysuckle rose, un pezzo pieno di gioia e allegria dove la sua arte pianistica si mostra in tutta la sua strabordante evidenza.

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Marco Molendini una delle firme più prestigiose di questo secolo.Giornalista e critico musicale di lunga esperienza, è una delle firme di punta del Messaggero. Dal 1981 al 1995 è stato redattore capo del servizio Spettacoli de “Il Messaggero”. Dal 1982 al 1992 ha condotto rubriche radiofoniche: Radio 2 Jazz, Radio 1 Jazz.
E’ autore di libri: una biografia di Caetano Veloso, di Fratelli Brasile, doppio racconto sul rapporto fra Veloso e Gilberto Gil, del libro fotografico “Le strade del cinema portano a Roma”. Autore televisivo con Renzo Arbore del programma di Raiuno “Speciale per me”.
Non ha mai interrotto la sua collaborazione con il quotidiano Il Messaggero, per cui ora è inviato.