Di Mario Rigli
Non credo di aver mai passato una mattinata come quella in tutta la mia vita. Anzi per la verità non tutta la mattina, solo qualche ora, qualche ora, ma terrificante.
Era il quattro novembre e solo ora a distanza di una quindicina di giorni riesco a parlarne.
Non ricordo cosa stessi facendo, forse dipingevo, forse ero al computer, quando arrivò mia moglie con respiro un po’ affannato. Era scesa da poco in garage dove lavora con le sue macchine da cucire. Non poteva aver finito.
– Cosa succede? –
– Niente, niente, sono venuta a farmi un caffè –
Sembrava avesse timore nel raccontarmi qualcosa. Ha bevuto il caffè e poi mi ha raggiunto di nuovo.
– Ho sentito alla radio di un incidente sul lavoro –
– Dove? – e mi ha detto la zona fra Figline ed incisa.
Mi sono sentito immediatamente male. In quella zona lavorava mio figlio.
– Non ci sono ancora notizie precise – ha continuato mia moglie.
Una paura indescivibile mi ha annientato, ho cominciato a sentire male allo stomaco, non riuscivo respirare. Sono dovuto andare immediatamente in bagno. Ho fatto appena in tempo anche se mi sono sporcato un po’ mutande e pantaloni.
Ho aperto subito dopo il Pc per avere notizie.
Almeno una decina di siti parlavano dell’accaduto, ma niente nominativo del deceduto, della ditta, solo la zona e la dinamica: il ribaltamento del muletto.
Mi sentivo sempre più male, non respiravo proprio.
Filippo guidava il muletto.
Ricordai quando mi telefonò per dirmi che l’azienda gli aveva chiesto di prendere il patentino per il carrello elevatore.
– E che problemi hai? – risposi – tu lo sai guidare benissimo –
– Certo, babbo, ti ricordi chi mi ha insegnato? –
Riandai con i ricordi al tempo della mia fabbrica di decorazione del vetro. Filippo bambino, quando veniva a trovarmi, voleva salire sempre sul muletto. Lo tenevo in collo quando lui, iperattivo da sempre, agitava le leve destra-sinistra e alto-basso in maniera frenetica. Allora, per sicurezza, lo portavo a caricare e scaricare i carrelli di bicchieri del lungo forno a tunnel.
– Babbo, ma come fai a tenerli in mano? sono roventi! –
– Prendi i guanti Pippo, io c’ho il callo, sono abituato ormai –
Poi con il tempo aveva imparato perfettamente a guidare il carrello elevatore.
Filippo è uno scrittore, ma per vivere aveva fatto il portiere di notte in un albergo di Firenze, chiuso in questo periodo di peste, poi il corriere per Amazon, ed ora è in una azienda che ricarica bombole di ossigeno e le spedisce in tutti gli ospedali della Toscana ed oltre.
E’ particolarmente orgoglioso del suo lavoro, si sente utile in questo periodo oscuro.
Stavo sempre peggio. Ho provato a telefonargli. Nessuna risposta, ma raramente rispondeva in orario di lavoro.
Non potevo stare fermo. Dal salotto allo studio, dalla camera alla cucina, ininterrottamente. Ho preso il sacchetto della plastica e sono uscito verso le campane della nettezza.
Nemmeno fuori respiravo meglio.
Ho gettato la plastica e mi sono seduto sul marciapiede dietro le campane. Fuori non c’era un’anima viva.
Ho poggiato la schiena sul muretto di porfido rosa che delimitva una vecchia officina ormai del tutto cadente, vetri rotti, tetto sfondato ed erbacce dappertutto. Davanti la grande piazza di solito sempre piena di macchine completamente deserta. Sulla destra la palestra chiusa, poco oltre il cancello dello stadio chiuso, davanti il Pallaio chiuso.
Stavo veramente male.
– Ha problemi? – mi ha detto un ragazzo di cui non mi ero accorto.
– No, no, grazie – e a fatica, mi sono alzato.
Mi sono incamminato verso casa. Ma mi sono fermato subito. Mi sono appoggiato al muretto e ho aperto Whatsapp. Ma cosa potevo dire?
Ho scritto:
– A che ora esci oggi? –
-Ciccio??? –
Niente, nessuna risposta. Mi sono incamminato di nuovo, quasi arrancando. Poi ho sentito il suono della notifica di WA. Ho aperto il telefonino, c’era la doppia spunta azzurra. Aveva visto!!
Era on line e stava rispondendo!
– Grazie Dio! – ho pensato. Mi sono di nuovo appoggiato al muro di porfido rosa.
Si, era lui!!!
-Non lo so, babbo-
-È un casino-
Ora potevo chiedergli davvero.
-È un ora che sto morendo per una notizia che ho letto. Un incidente sul lavoro fra Figline e Incisa –
– Fabbrica davanti a me –
– Un operaio morto sotto il muletto –
– Operaio di sessant’anni –
-Le notizie davano solo la zona, quando posso venire a trovarti all’uscita dal lavoro? –
-Oh babbo lasciamo perdere –
-Qua non si ripara, sembra la guerra –
-Arriva un bilico al giorno –
– Tutti gli ospedali in emergenza –
– Ma se mettono chiusure quando ti vedo? –
– Babbo, quando riaprono –
– Oh, d’altra parte lavoro all’ossigeno per gli ospedali, ora serve –
Ho cominciato a respirare regolarmente, camminavo anche meglio, poi ho pensato a quell’operaio, che ho scoperto dopo essere un abitante di un paese vicino. Ho pensato a sua moglie, ai figli, ai genitori ai fratelli.
Ho inviato loro un abbraccio, ma mi sono sentito un pò in colpa perchè stavo meglio.
Si, grazie Dio! ora stavo veramente meglio.
MarioRigli
- Taiwan è “un’isola del tesoro”, e Pechino la vuole - 10 Luglio 2021
- L’eterno ritorno dell’antisemitismo - 13 Giugno 2021
- Popper e Lorenz sull’evoluzionismo - 21 Maggio 2021