Il festival del contagio

Di Marco Molendini

Meglio i figuranti o una figuraccia? Sanremo è da sempre il festival delle chiacchiere inutili. Lo è anche stavolta che si discute se farlo o meno, il festival. Da una parte i pasdaran del si canta a tutti i costi, dall’altra il timore di chi si guarda a attorno e teme i fendenti del covid. In mezzo la Rai che non sa che pesci prendere, anche se Sanremo è sul mare. O meglio la Rai saprebbe quali sono i pesci da prendere, i 37 milioni che il suo Festivalone ha incassato l’anno scorso. Ma la tv di Stato deve fare i conti con la realtà e col rischio di trasformare il Festival della canzone in Festival del contagio. E il rischio c’è, come può ben immaginare chi ha frequentato Sanremo nei giorni della follia canora: si chiama frenesia, la frenesia che pervade la città che si trasforma in un teatro tutta quanta. Chi continua a focalizzare l’attenzione soltanto sui figuranti fa un errore di sottovalutazione, oltre a pensare che i suddetti figuranti non siano, alla fine, delle persone normali che corrono il pericolo, come tutti, di contagiarsi.
Il problema non è tanto chi saranno i quasi 400 ospiti del teatro convocati con il compito di dare ad Amadeus e Fiorello l’illusione di essere protagonisti di un Festival come gli altri, senza mascherina. Il problema è la città teatro Sanremo e il paragone con X Factor o Amici, come si fa per dare contorni ridotti al problema, non sta in piedi. Quelle sono trasmissioni dove il pubblico arriva e se ne va, torna a casa propria, nella propria città. Durante il Festival Sanremo viene colonizzata: sbarcano in città non solo i cantanti con i loro accompagnatori, arrivano discografici, musicisti, manager. Sbarcano i tecnici della Rai, dirigenti e funzionari. Sbarcano i giornalisti, anche se la promessa è di ridurne drasticamente il numero, sbarcano le radio, sbarcano gli inviati dei siti. Non sono figuranti, sono centinaia di persone che arrivano da fuori, vivono in albergo, devono mangiare, muoversi, respirare, vivere. Dove mangiano, come mangiano, come lavorano, come si incontrano, come si muovono? Insomma, negare che lo svolgimento del Festival sia destinato a creare una situazione anomala, per quanto controllata e calmierata, è una pia illusione, significa mettere la testa sotto la terra. A quella situazione di città colonizzata, poi, va aggiunta la frenesia dei sanremesi, che attendono l’arrivo della legione di colonizzatori per vederla, toccarla, seguirla, guardarla. Sarebbe necessario un servizio d’ordine massiccio per controllare. Leggevo stamattina sul Corriere della sera l’intervento di Aldo Grasso che sela prendeva con il mondo del teatro (ma anche della musica e dello spettacolo dal vivo in genere) che minaccia: «Se a Sanremo ci sarà il pubblico in sala, allora apriremo i teatri». Fa bene a protestare il mondo dello spettacolo, fa quello che è sempre stato fatto a rimorchio del Festival, si usa la sua popolarità, la sua calamità per sollevare e mettere in evidenza un problema, in questo caso quello di uno mondo che è fermo e senza lavoro da un anno.
Ma, insisto, il tema del pubblico a teatro che fa discutere, che fa arrabbiare Amadeus, è un falso problema, è cosa secondaria rispetto a quello che crea il Festival nella città di Sanremo. Sottovalutare questo aspetto, ignorarlo, prendersi la responsabilità di quello che può provocare è un atto di irresponsabilità. La Rai farebbe bene a pensarci e anche Amadeus e Fiorello.

Marco Molendini una delle firme più prestigiose di questo secolo.Giornalista e critico musicale di lunga esperienza, è una delle firme di punta del Messaggero. Dal 1981 al 1995 è stato redattore capo del servizio Spettacoli de “Il Messaggero”. Dal 1982 al 1992 ha condotto rubriche radiofoniche: Radio 2 Jazz, Radio 1 Jazz.
E’ autore di libri: una biografia di Caetano Veloso, di Fratelli Brasile, doppio racconto sul rapporto fra Veloso e Gilberto Gil, del libro fotografico “Le strade del cinema portano a Roma”. Autore televisivo con Renzo Arbore del programma di Raiuno “Speciale per me”.
Non ha mai interrotto la sua collaborazione con il quotidiano Il Messaggero, per cui ora è inviato.