Collage “il V° Stato”

Di Mario Rigli

Un collage sta ad un dipinto dal vivo, ma anche in studio, ad un opera astratta, ma anche informale, ad un quadro di un paesaggio ma anche di una natura morta come un brano di musica rap sta ad un pezzo di musica di un cantautore. Ed intendo Rap sia nel significato che ha assunto nel senso comune sia nel significato di origine e cioè Rhythm And Poetry, ritmo e poesia (per inciso, in italiano l’acronimo dovrebbe essere Rep, ma in fondo è così che si pronuncia). Il rap consiste essenzialmente nel parlare anziché cantare, parlare con dei versi molto ritmati che si basano su rime baciate, assonanze e allitterazioni, quasi mai metafore o similitudini, ma la realtà e la concretezza quasi in una sorta di minimalismo letterario. Un brano di musica d’autore, molto spesso rifugge le rime ed è pieno zeppo di metafore che mediatamente ci portano al discorso che si vuol fare. Il messaggio nel rap è immediato, dice esattamente quello che vuol dire, il messaggio nella musica d’autore è mediato attraverso immagini e metafore. Così il collage. Il collage va diritto al nocciolo della questione, parla all’istante, fa una specie di comizio facilmente comprensibile, un quadro en plain-air arriva al messaggio per gradi. In un collage se devo dire di tristezza, posso al limite incollare la stessa parola a caratteri cubitali, in un quadro per parlare di tristezza posso dipingere le lacrime di una fanciulla o un albero rinsecchito in un inverno rigido. In un quadro astratto o informale poi, la mediatezza è ancora più lunga e devo adoperare colori grigi cupi o neri. Ecco perché ho scelto la tecnica del collage per parlare del 5° Stato. Il 5° stato è un’Utopia, è il superamento dei due stati dell’Ancien Regime, Clero e Nobiltà, dello stato emergente dalla rivoluzione francese, la Borghesia e anche del 4° Stato che deriva dalle rivoluzioni industriali e politiche dell’ottocento. Difficilissimo è individuare dei contorni del futuro o futuribile 5° stato quello che è certo è che si notano nettamente gli sfilacciamenti del 4° stato e dei suoi strumenti operativi: i partiti e i sindacati e la necessità di teorizzare altro. Per la verità avevo provato qualche tempo fa se non a dare una prima visione del 5° stato, quantomeno a definirne la necessità di un incamminamento verso lo stesso, anche se fumoso ed ipotetico. Avevo scritto un pezzo di teoria politica o, se volete politica teorica per un gruppo nato in Facebook, scritto che metterò in calce se qualcuno avesse interesse a leggerlo (è molto corposo e qualcuno l’ha anche giudicato difficile).

Ma veniamo al collage. La sagoma-silhouette è di un appartenente al genere umano, uomo o donna è indifferente. In fondo è nell’anima dell’uomo che si è sviluppato nei secoli il percorso dei vari Stati, e la sagoma è grosso modo dalla cintola in su per rimarcare l’aspetto più spirituale del percorso rispetto a quello più materiale. Si legge dal basso in alto come una specie di piramide, del resto proprio nella figura della piramide si sono sempre inserite le varie scale sociali. In basso sulla sinistra sono visibili delle figure dedite al lavoro nella terra. Ci sono due figure del quattrocento dove un figlio quasi trascina il padre al lavoro dei campi. Il padre non ha più forza, ma allora non c’era la pensione e non esistevano neppure esodati, il lavoro era una specie di schiavitù. Non migliore è la situazione dei contadini a fianco, contadini dell’ottocento che trascinano un aratro come dei buoi. Poco sopra i tre stati dell’ancien regime, figurine in bianco e nero, moltiplicate, triplicate quasi a simboleggiare la loro importanza preponderante rispetto agli ultimi. Poi il clero, imponente nei suoi paramenti di ieri, ma anche di oggi e nei suoi troni altezzosi (attendiamo con ansia gli sviluppi di un nuovo papato che si preannuncia dirompente se non rivoluzionario) . Un piccolo cardinale ha anche le grasse sembianze di un disegno di Botero, serve un po’ a sdrammatizzare la solennità di quella grande Casta di ieri e di oggi. Casta come la nobiltà, che con altrettanta solennità di vestiti, di atteggiamenti e di sguardi, (compreso la fanciulla) domina la parte centrale del petto della silhouette. Eppure molte volte è stata fatiscente questa classe sociale, parassitaria, evanescente come quella figura di nobile resa fantasma, si vede solamente la testa, una mano e l’elsa della spada. Un fantasma triplicato e immobile che non riesce nemmeno a mettere paura. Poi la Borghesia. Non tante figure come per gli altri stati, anche perché l’alta borghesia mal si distingue, almeno visivamente, dalla nobiltà. Solo la figurina della rivoluzione Francese parla del 3° stato, il famosissimo quadro di Délacroix, fra l’altro recentemente sfregiato, ci dice della rivoluzione francese e della Borghesia. Siamo al livello del cuore e del quarto stato. Il cuore della sagoma, e non poteva essere diversamente, è il simbolo-logo di Nun Te Regghe Più, un cuore piccolo per le dimensioni della figura, ma un cuore propulsivo e battente, un cuore che “sente”, che elabora, che spinge. Lo stesso simbolo si trova anche frai pianeti-sole sopra il 4° stato di Pellizza da Volpedo, gli atri di tenue colore pastello, questo invece coloratissimo. Il dipinto di Pellizza si trova appena sotto la gola, quasi volesse dare respiro non solo all’intero collage, ma al processo di cambiamento che spinge verso la testa. Due figurine dello stesso dipinto sono inserite anche nell’urlo di Munk, sulla destra, come dire che esponenti del 4° stato non sono appagati, ma urlano come la figurina evanescente di MUNK. Poi un quarto stato più giovane, fatto di ragazzi allegri e sorridenti. Ed infine il 5° stato. Ho chiesto aiuto a Magritte per il quinto stato, cito ampiamente le sue nuvolette bianche anche se do loro qualche sfumatura di colore. Il 5° stato è indefinito, è una speranza, è un tentativo. È un’utopia, è un miraggio, è un cielo parzialmente sereno, ma le nuvole non portano pioggia, il futuro prossimo è di sole e di calore. Le nuvole di Magritte in fondo ci ricordano come tutti siamo alla ricerca di noi stessi, di un nostro posto nella storia e nel mondo. Si perché noi siamo cittadini del mondo e la storia siamo noi. Le nuvole di Magritte ci dicono che c’è sempre una possibilità nascosta e per ora poco individuabile, le nuvole di Magritte per ora sono l’unica risposta possibile al dubbio, una sorpresa, insomma, dietro le certezze dell’oggi che non ci appagano. Il 5° stato per ora non possono che essere le nuvole di Magritte, ma il nostro Cammino irrinunciabile ci impone di dare dei contorni concreti a quel cielo pieno di nuvolette bianche. Ci impone a farci spuntare le ali per volare in quel cielo e cominciare a edificarne le pareti ed i soffitti, le soglie e i davanzali.

Questo è lo scritto di cui vi dicevo in inizio:

Il gruppo “Nun te regghe più” fra recente passato e futuro prossimo. Verso il 5° stato.

Premessa.
Ci scusiamo innanzitutto se questo nostro scritto avrà una lunghezza eccessiva e non comune per le note di solito postate nei social network, ma le cose da dire sono tante e con tutta probabilità alcune di esse verranno ripetute in altra forma per far capire compiutamente il nostro pensiero. Ci scusiamo se esso risulterà troppo teorico e poco pragmatico anche se alla concretezza cercheremo di dare un posto di grande rilievo. Ma il disegno che era prefigurato alla nascita del gruppo era proiettato soprattutto nel futuro e per una materia per la quale non è facile individuare contorni netti e precisi. Non entreremo nei dettagli della discussione, vogliamo chiamarla così, che si è dipanata all’indomani della consegna delle firme, né faremo nomi di persone che in questa discussione si sono espressi più a lungo e profondamente. Abbiamo troppo a cuore la sorti del nostro disegno, la maturazione del nostro sogno. Se qualche dettaglio verrà fuori, sarà unicamente quale contributo per il “dopo” , se qualche nominativo verrà fatto sarà solo per il positivo contributo dato in direzione del nostro disegno.

Retroterra culturale e teorico che ha portato alla nascita del gruppo.

Politica e partito, polis e pars

Fra Politica e Partito esiste una divergenza nei termini e nei concetti che difficilmente ci porta a comprendere come in molti casi si possano usare in modo intercambiabile. E se i due termini antitetici fra loro vengono usati indifferentemente è per il fatto che i partiti si sono appropriati della politica. Politica deriva dal termine greco Polis, città e, per estensione del termine, comunità, società. Politica quindi come governo equo della città, come gestione super partes, sopra le parti, sopra i partiti. Partito al contrario fa riferimento ad una parte, ad un segmento della comunità con interessi spesso contrastanti con altri segmenti, il partito è una organizzazione che nasce per difendere, contro gli altri, i propri interessi economici, commerciali, di potere. Il partito è una organizzazione che nasce appositamente per salvaguardare esigenze particolari della propria appartenenza, corporazione, associazione, lobby, classe sociale contro altre corporazioni, altre classi sociali. La politica guarda all’insieme, all’interesse comune, il partito guarda al particolare, al proprio interesse, all’interesse dei propri associati. I”lanaioli” nella Firenze del medioevo e del Rinascimentose riuscivano ad imporre i loro commerci con le Fiandre ricavandone floridezza e benessere anche per la città, esigevano naturalmente un ritorno da parte del Principe per la loro corporazione, magari a scapito delle corporazioni rivali, se nella Venezia repubblica marinara la corporazione della“seta” godeva di un periodo di crescita commerciale ed aumentava i traffici, probabilmente riusciva ad spuntare tariffe migliori nelle navi che venivano dall’Oriente rispetto ad esempio agli “speziali”, compito del Doge, (la politica) era però far ricadere la prosperità dei traffici con l’oriente su tutta la città, sui carpentieri, sui muratori, sui bottai, sui vaiai, prelevando in tassazione dalla corporazione della seta in maggior misura delle altre.

Don Lorenzo Milani diceva che la Politica e la cultura sono le armi più potenti di cui dispone l’umanità per eliminare o quanto meno attenuarele differenze al suo interno, naturalmente quella a cui faceva riferimento era la politica vera e non l’ignobile caricatura dei nostri giorni e sicuramente non avrebbe potuto dire altrettanto dei partiti. E nonostante questa nostra visione, nonostante il nostro pensiero che ci portava naturalmente verso la Politica, quella vera, quella buona, fin dai primi tempi fummo accusati di essere agenti dei partiti, di fare gli interessi dei partiti, senza specificare di quali partiti si trattasse. Fin da allora fummo costretti a difendere il nostro disegno e soprattutto la nostra proposta di legge che di quel disegno era il primo tratto, importante, di matita. Voglio riportare qui un intervento dell’amico Gianmario Lucini, amministratore della Valtellina e un mio commento sullo stesso, erano i tempi pioneristici del nostro percorso. L’essenza sta nelle parole. C’è una politica e ci sono deipartiti. C’è una “pòlis” e c’è una “pars”. I partiti rappresentano interessi strutturati e sempre “di parte”, mentre la”pòlis” rappresenta l’interesse comune, di tutte le parti. Fare politica significa quindi cercare di mettere insieme più “pars” o”anime di una dialettica” per giungere alla sintesi del “bene comune”. La cosa che vogliamo concludere, paradossalmente, non è nell’interesse di nessun partito, di nessuna “pars”. Sfido chiunque a dirmi quale sia il partito che vuole quello che noi chiediamo nella proposta di Legge. Ma invece la stragrande maggioranza dei cittadini (ne sono fermamente convinto) vuole questa Legge, perché è giusta e va nell’interesse della pòlis. Se si riflette su questo semplice concetto, è ovvio che le accuse che ci vengono fatte, di essere “agenti” dei partiti, non possono stare in piedi e sono pure e semplici diffamazioni, macchina del fango. (Gianmario Lucini) Quale migliore sintesi di un diverbio che ci attanaglia da tempo, anzi non attanaglia noi, ma fa sragionare i nostri detrattori da qualche tempo. E poi non si capiscono neppure le motivazioni di un attacco simile, che non porta da nessuna parte, che può affievolire, ma noi siamo convinti del contrario, le nostre finalità, il nostro obiettivo condiviso dalla totalità dei cittadini. E’ vero ci sono purtroppo altri problemi da risolvere, forse anche più urgenti, ma noi abbiamo individuato questo e in questa battaglia ci vogliamo produrre ed impiegare tutte le nostre forze. Noi siamo apartitici, lo abbiamo dichiarato fino dal primo momento, quel 3 luglio scorso quando siamo apparsi sulla rete, noi siamo apartitici, ma profondamente politici. Siamo politici. La nostra Politica è quella con la P maiuscola, quella Aristotelica, quella che deriva da Polis ovvero città. E la nostra Polis è la nostra comunità la nostra Nazione e la nostra Politica è quella che vuol dire governo equo della Polis, amministrazione corretta della Comunità e dello stato. Questa è la nostra politica. Quindi niente tende di appartenenza, niente pars, niente partiti. Noi non difendiamo gli interessi né della Acropoli, né dell’Asty, né della Chora. Ma cerchiamo il bene comune della Polis. Del resto gli amministratori hanno invitato tutti a guardare i nostri profili, il nostro impegno anche precedente la nascita di NTRP. Io posso essere nato nella Chora, un altro amministratore nell’Asty, un altro ancora nell’Acropoli, ma in NTRP siamo entrati nudi senza vestiti precedenti e pensando unicamente all’interesse della Polis, all’interesse di tutti i cittadini che firmeranno la nostra legge.

Breve cenno della nascita dei partiti moderni

I partiti così come si vedono oggi si possono considerare come nati fin dal settecento. La rivoluzione francese che portò al potere il 3°stato la Borghesia portò anche a teorizzare delle organizzazioni che difendessero gli interessi della classe che era assurta al potere contro il 1°e 2° stato, nobiltà e clero. Decine di anni dopo, con la rivoluzione industriale e le rivoluzioni socialiste e la conseguente nascita del 4°stato, il proletariato, nacquero anche le organizzazioni politiche che avrebbero difeso gli interessi di quella classe sociale. I partiti che dopo una lunga elaborazione teorica ed ideologica si definirono furono da una parte i partiti liberali e liberal democratici a difesa degli interessi borghesi e i partiti socialisti e social democratici a difesa degli interessi del proletariato. Comunque organizzazioni strettamente legate a classi sociali definite e portatori esclusivamente di interessi di classi contrapposte fra loro. Esula da questo schema il tentativo di far scendere in politica la dottrina sociale della Chiesa che per sua natura non poteva difendere gli interessi di una classe, e cercando così di creare formazioni interclassiste, ma anche in questo caso siamo in grado di valutarne la deriva ed il declino. Esulano ancora i partiti nazionalisti della prima metà del secolo scorso portatori non solo di idee nazionaliste, ma spesso razziali e xenofobe, con conseguenze devastanti per tutta l’umanità.

Costituzione e sovranità popolare

Il primo articolo della Costituzione, al secondo comma, recita espressamente: “ La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme previste nella Costituzione” e quali sono questi limiti e queste forme? 1) Naturalmente il voto mediante il quale si delega un nostro rappresentante alla gestione della res publica, ma quale delega esiste oggi nel nostro sistema di repubblica parlamentare? E’ sotto gli occhi di tutti lo svuotamento progressivo della delega data dall’elettore, di una rappresentanza inesistente specialmente, ma non solo, per l’effetto di un sistema elettorale barbaro e ignobile. 2) Il ricorso ai pochi strumenti di democrazia diretta previsti dalla stessa Costituzione: Il referendum abrogativo (non quello propositivo perché in quanto non regolamentato è di fatto inesistente), la proposta di legge di iniziativa popolare, le petizioni. Sappiamo però anche come questi istituti siano svuotati del loro contenuto, sappiamo come il referendum possa essere evitato cambiando di poco la legge che si vuole sottoporre a referendum, oppure anche se i cittadini riescono ad esprimersi basta cambiare appena la terminologia che la legge abrogata ritorna in vigore (pensiamo al finanziamento pubblico dei partiti reintrodotto subdolamente sotto la terminologia di rimborso elettorale che rimborso elettorale non né affatto). Sappiamo come la proposta di iniziativa popolare possa essere del tutto trascurata e tenuta a giacere nei cassetti senza discussione, giocando il Parlamento sul fatto che la legge attuativa della Costituzione non parla di termini entro i quali calendarizzare la Proposta di legge e metterla alla discussione. In teoria una Proposta di legge popolare potrebbe non venir mai discussa. Non parlo delle Petizioni che proprio non rivestono nessuna forma di pressione popolare. Ma poi il più grande difetto di questi istituti di democrazia diretta è che di per se stessi sono inaccessibili ai cittadini comuni, fino ad adesso a questi strumenti avevano potuto far ricorso solo organizzazioni partitiche, movimenti, formazioni politiche. Crediamo che la nostra proposta di legge sia il primo caso in tutta la storia repubblicana di un partecipazione effettivamente “popolare” nel senso di cittadini del tutto svincolati, da movimenti, partiti, e soprattutto senza nessun tipo di finanziamento. E’ per questo, almeno in parte è per questo, che siamo stati ricevuti dalla presidenza della camera, non in un atto dovuto, perché mai verificato prima, ma in un atto sentito in virtù proprio del nostro percorso genuinamente popolare.
3) I partiti politici.
I partiti politici dovrebbero essere le organizzazioni dentro le quali e attraverso le quali si dovrebbe manifestare la gran parte della sovranità popolare di cui la Costituzione parla al primo articolo. I partiti dovrebbero essere portatori di altrettante diverse concezioni dell’interesse generale, il loro ruolo dovrebbe consistere nel decantare l’immediatezza degli interessi particolari, commisurandoli alla stregua di una interpretazione dell’interesse generale e nel proporsi, infine, di influire in principio, in genere, sulle decisioni politiche della comunità statale. La funzione strumentale dei partiti rispetto all’attuazione del principio democratico e della sovranità popolare non potrebbe essere più incisivamente delineata e chiarita come nell’art. 49 della Costituzione quando letteralmente si afferma che i cittadini hanno l diritto “di associarsi liberamente in partiti per concorrere a determinare con metodo democratico la politica nazionale”. Essi dovrebbero assumere quindi un ruolo di duplice figura, prima come autorganizzazione dei cittadini e poi di “ponte” fra popolo, Parlamento e Governo. In teoria il concorso dei cittadini, tramite i partiti, alla determinazione della politica nazionale dovrebbe essere un concorso permanente, autonomo e distinto rispetto al diritto elettorale limitato a singole e puntuali, sebbene periodicamente ricorrenti singole manifestazioni. Nonostante la chiarezza e la limpidità delle affermazioni della Costituzione risulta chiaro a tutti lo svuotamento progressivo di questi principi: la delega di fatto non esiste e la rappresentanza data attraverso il voto è del tutto insignificante ed assente, gli strumenti di democrazia diretta sono incredibilmente inaccessibili, i partiti non rappresentano altro che i loro stessi interessi differenti e distaccati da quelli che dovrebbero affermare.

Il 5° stato

Abbiamo appena accennato sopra all’affermarsi nella storia del 3°e 4° stato, la borghesia e il proletariato e il conseguente affermarsi dei loro bracci operativi, partiti e sindacati e abbiamo brevemente esaminato le condizioni attuali in cui essi ci hanno condotto. E’ sotto gli occhi di tutti lo stato di degrado morale, etico, sociale, di principi e di valori nel quale siamo costretti a vivere ed a dibatterci e non staremo qui a parlarne ulteriormente. I partiti sono al minimo storico di gradimento, l’insofferenza per la Politica così come si manifesta aumenta sempre più, l’antipolitica cavalca a volte questo malessere senza proporre alternative per il futuro ( a proposito anche noi siamo stati tacciati di populismo ed antipolitica nonostante ricorrevamo ad uno degli strumenti più nobili che prevede la costituzione). Occorre allora una svolta, una svolta radicale che investa tutta la società e il modo di pensare, che investa tutte le istituzioni, dalla forma stato alle aggregazioni dei cittadini. Forse è l’ora di ricorrere alle utopie, ai grandi sogni alla fantasia, forse è l’ora di mettere in pratica quello che un grande dei nostri giorni affermava: “Ecco i pazzi, gli spostati, i ribelli, gli agitatori, i pioli rotondi nel buco quadrato, quelli che vedono le cose in modo diverso. Essi non amano le regole e nessun rispetto per lo status quo. Li potete citare o essere in disaccordo, li potete glorificare o vilipendere. Ma la sola cosa che non potete fare è ignorarli, perché cambiano le cose. Spingono avanti la razza umana. E mentre molti li vedono come dei pazzi, noi ne vediamo il genio. Perché la gente che è così folle da pensare che può cambiare il mondo, è quella che lo farà” (S. Jobs)

E’ l’ora comunque di andare oltre, di costruire qualcosa di nuovo, di avere nella mente un grande disegno forse utopico, ma sulla visione di questo, procedendo a piccoli passi, demolire l’esistente ed edificare il nuovo, per gradi se vogliamo, ma andare in quella direzione. Sono ormai alcuni anni che i teorici di scienze politiche, i cultori di dottrine politiche e sociali stanno teorizzando e prevedendo la nascita di quello che chiamano il 5° stato. Per la verità questa elaborazione teorica riguarda ancora solo le aziende e l’economia, ma personalmente credo che si debba estenderla anche alle altre discipline e in primis la Politica. Angelo Pasquarella nel suo saggio “il quinto stato” parla dei “knowledge workers” alla lettera “operatori della conoscenza” , “lavoratori del sapere” che individua come una classe del tutto nuova a cui manca solo la consapevolezza di sé per diventare dopo nobiltà, clero, borghesia e proletariato, il 5° stato, la forza trainante del nuovo secolo. E’ un messaggio con larghi margini utopici e al limite del paradosso, ma secondo l’autore, gli operatori della conoscenza saranno coloro che trasformeranno l’attuale epoca post-industriale, ancorata a modelli mentali, valori e comportamenti del sistema industriale in via di superamento. Ah! non avevo detto che i knowledge workers sono coloro che utilizzano la rete e le enormi possibilità fornite da internet, per la loro conoscenza in tutti i campi, e Pasquarella si sofferma su quello che sarà il loro ruolo, sul loro modo di pensare e di agire, sui valori di cui sono portatori e su come le imprese cambieranno con loro. Mentre il processo industriale è governato dall’alto, dai capi, il processo post-industriale è governato dal basso, dai knowledge workers e la conseguenza è l’alterazione dei modelli gerarchici a cui siamo abituati, gli operatori della conoscenza passeranno dal rapporto contrattuale di dipendenza a quello professionale e a quello imprenditoriale con estrema facilità spostando la“cultura della dipendenza” verso quella della competenza. Vogliono essere protagonisti della loro vita, non hanno nessun timore reverenziale verso l’azienda che diventa solo un partner per realizzare le aspirazioni proprie.

Queste sono le teorie di Pasquarella, ma anche di altri teorici e cultori di dottrine politiche e sociali. Io vorrei fare un passo ulteriore. Internet e la rete non sono stati e sono e saranno decisivi solo per l’economia e le aziende, ma i knowledge workers sono attivi in tutti i campi, dalle arti, alla letteratura, alla politica.

Io personalmente ho conosciuto la potenza di questi operatori della conoscenza durante la primavera araba ed ho apprezzato il loro contributo, mi sono reso conto che attraverso la rete e con il lavoro di questio peratori nel campo dell’arte si possono bypassare Gallerie, mercanti e critici d’arte, si possono bypassare editori e premi letterari nel campo della scrittura o addirittura possono promuovere essi stessi concorsi e edizioni nella rete, ma questa democrazia effettiva e compiuta nei campi citati può avvenire naturalmente anche nel campo della politica. Il processo politico è governato dall’alto e al chiuso delle stanze dei bottoni, ma la consapevolezza del loro ruolo porterà gli operatori della conoscenza ad essere protagonisti anche della politica e non semplici “dipendenti” di decisioni prese sulla loro testa. Non dico oltre, penso che il concetto sia abbastanza chiaro, ma quando questa nuova consapevolezza sarà diffusa, una nuova rivoluzione culturale ed etica comincerà a prendere forma, comincerà a costituirsi veramente il 5° stato, il benessere della polis sarà al centro, gli interessi particolari e corporativi saranno finalmente rimossi a favore degli interessi generali e condivisi dalla comunità. Il problema è che questo disegno a metà fra l’utopia e la realtà, non è un disegno a breve. Non avrà, se andremo in quella direzione, i lunghissimi tempi che portarono la borghesia ed il proletariato a darsi un profilo“ideologico” e i propri strumenti operativi, oggi i tempi sono alquanto più veloci, ma il 5° stato dovrà necessariamente avere a disposizione del tempo per darsi una identità e dotarsi delle organizzazioni adatte che saranno, per forza di cose, notevolmente diverse da quelle attuali. E allora sono naturalmente necessarie tappe intermedie. Quando costituimmo questo gruppo, le idee esposte sopra erano quelle che ci spronavano nel nostro sogno, ma per raggruppare persone a cominciare a discutere gradualmente questo disegno, dovevamo cercare da subito degli obiettivi attuali e condivisibili in maniera universale, oltre e sopra ideologie e pseudo ideologie di parte, oltre destra e sinistra, oltre tende di appartenenza, oltre i nostri piccoli orticelli. Ho definito sopra la nostra proposta di legge come il primo tratto di matita del nostro disegno, ma il tratto doveva essere ben definito, riconoscibile universalmente, accettabile senza riserve, semplice e senza possibilità di travisamenti, comprensibile alla generalità e soprattutto doveva andare verso quella democrazia diretta che era un passo, un primo passo della rivoluzione culturale ed etica che volevamo intraprendere, poi non ultimo, doveva essere non attaccabile dal punto di vista dell’antipolitica, del populismo e del qualunquismo. Ricorrere direttamente alla Costituzione ci metteva al riparo, senza ombra di dubbio, anche da queste critiche. Il mezzo per portare avanti questo utopico-reale sogno fu individuato in Facebook, un social network, agile, duttile, malleabile, che non aveva bisogno di particolari e ingessati organigrammi che volevamo sconfiggere.

#MarioRigli

Nato a Terranuova Bracciolini il 7-7-49. Si è occupato di poesia e narrativa da sempre. Ha partecipato, con importanti riconoscimenti, a numerosi premi letterari nazionali e internazionali. Nel corso del 1985 ha pubblicato il volume di racconti “Laurine” presso l’Editore “La Ginestra” di Firenze, ha ottenuto la targa di rappresentanza alla decima edizione del Premio Casentino, il Primo Premio Assoluto al “Cardo d’Argento”, il 1° assoluto a Concorso Internazionale “Natale di Pace” a Roma. Per il complesso della sua attività gli è stato conferito il riconoscimento “Gli Etruschi” a Roma. Nel 1986 ha conseguito il Premio Speciale “Trofeo delle Nazioni” a Roma, il 2° ex-aequo per la poesia al concorso “Federico Garcia Lorca” , il 6° premio per la narrativa alla XVI edizione del premio “San Valentino” di Terni, il Trofeo di Rappresentanza alla undicesima edizione del “Casentino”, il 5° ex-aequo per la poesia al premio “Città di Cava”: Nello stesso anno gli è stato conferito il riconoscimento “I Protagonisti”. Nel 1995 ha pubblicato la raccolta poetica “Immaginato nettare” con l’editore carta verde e nel 1998 la raccolta poetica “A ticket to hell” a due mani con il figlio Filippo sempre per l’editore Carta Verde. Suoi lavori recenti sono “Schegge di Luna” pubblicato in arabo nel 2013 ad Amman in Giordania traduzione e prefazione del poeta e traduttore Nizar Sartawi. Una pubblicazione a Mombay sempre nel 2013 in lingua hindi da parte della poetessa e traduttrice Vijaya Kandpal. La traduzione e la prefazione per il poeta arabo candidato al nobel per la poesia Munir Mezyed del volume “Le uve della vigna del cielo” pubblicato in Italia da Albatros nel 2011. Ha partecipato come unico autore italiano alla antologia poetica internazionale “The second genesis” pubblicata a Waipur India. Nel 2014 è stato coautore del libro “Intelligenze per la pace” insieme a Gianmario Lucini per le edizioni CFR. Nel 2014 ha scritto la prefazione e illustrato il libro “Le luci del Pratomagno di Ulisse Giovannuzzi. Nel 2015 ha scritto la postfazione del volume : “Storia di una mattonella di graniglia” di Fernando Poccetti. Nel 2016 ha tradotto in Italiano e ha fatto la prefazione per il volume “The birth of a poet” del poeta libanese Mohammad Ikbal Harb edito da Inner Child Press (Usa) e ha partecipato con sue poesie alle antologie internazionali “Morocco” e “Aleppo” sempre edite da Inner Child. Nel 2017 si è tenuta una sua retrospettiva nella sala del Consiglio Comunale di Terranuova Bracciolini, di pittura, scultura, poesia, narrativa e musica di quarant’anni del suo lavoro. Nel novembre del 2017, come paroliere è uscito il suo CD “Poesie in Musica” musicato, arrangiato e cantato da Fabio Martoglio. Le sue poesie sono tradotte in inglese, francese, spagnolo, portoghese, macedone, russo, arabo, hindi, pagasinian, tedesco . Suoi racconti e poesie sono presenti in antologie e riviste. Come pittore e scultore ha partecipato a molte mostre regionali e nazionali.