Di Mario Rigli
Anche la cena di questo mese è saltata, come sono saltate molte altre, come sono saltate tutte le gite. Si, so che si tenterà un riunione via skype, ma ci mancheranno gli abbracci, le strette di mano, i sorrisi dal vivo. Forse avremo lo stesso le barzellette di Giocco e le pernacchie di Silvano, ma non saranno certamente le stesse. Io non so se riuscirò a collegarmi, ma ci proverò e comunque sarò insieme almeno con il pensiero ed il desiderio.
Voglio raccontarvi però di una sera, di una cena particolare, una cena dell’ottobre di tre anni fa dove accaddero due cose grandi e importanti. Grazie a Nando per averle immortalate per sempre, la macchina fotografica per Nando è il terzo occhio, la terza mano e un pezzetto della sua anima.
……..
1^ storia.
Ieri sera sono stato ad un convivio mensile, che si ripete da moltissimi anni. Un convivio dove si riuniscono amici da una vita, da mezzo secolo ed oltre. Capita anche che a questa tavolata si riuniscano amici che non erano esattamente in contatto quotidiano i giorni, di tanti anni fa, che vogliamo ricordare e celebrare, che fossero a latere, che guardassero un po’ da lontano quel grande gruppo che quotidianamente stava a contatto nel “convento” e d’estate si ritrovava sotto le tende e sotto gli abeti secolari del Casentino e di Badia Prataglia e della Verna.
E’ il caso di Marcello per ieri sera. Marcello è un grande pittore del mio paese. Tutti noi lo conosciamo e lui conosce noi. Marcello ha i capelli lunghi ed i baffetti come un moschettiere da sempre, a differenza dei moschettieri di un tempo lui indossa sempre giacca e cravatta. Ma è vero artista, anche se capelli e baffetti, a volte contrastano con la cravatta. Marcello Pasquini è un grande pittore. Un pittore che ha assorbito tutta intera, dentro sè, la storia della pittura italiana del novecento. Marcello sente dentro Rosai, e Morandi, De Chirico e Fontana, Burri e Depero. Marcello dipinge madonne e nudi, geometrie e sinuose colline. Ed era tanto tempo che non ci incontravamo, ma io ho seguito la sua evoluzione fino ai suoi recenti astratti classici, memore anche della lezione di Berti e Nativi. Era tanto tempo che non ci incontravamo e in quel convivio, in quella tavolata di amici abbiamo avuto occasione di parlare e di parlare a lungo. Abbiamo parlato di arte, di pittura ma anche di poesia, abbiamo concordato che l’esprimersi, molto spesso, non si può limitare soltanto ad una forma d’arte . Ma abbiamo anche mangiato insieme, amatriciana e lampredotto. Non io, il lampredotto mi fa senso solo a vederlo. Ma dopo il suo lampredotto ed il mio prosciutto abbiamo ancora ricominciato a parlare. Abbiamo ricominciato a parlare senza accorgersi di Nando che, puntualmente fissava con la sua fotocamera quei momenti.
……
2^ storia
Qualche volta credo di non meritare quello che mi capita. Ieri sera ero a cena. Una cena mensile che si rinnova da tempo. Ho parlato nella prima parte di un incontro con un mio amico pittore. Voglio parlarvi ora di un’altra cosa che mi ha commosso.
In quella cena c’erano i “Ragazzi di Don Felice”. Non vi parlerò di lui, molti che leggono queste righe lo conoscono ampiamente.
Ora al posto di Don Felice, dopo il pastorello biondo don Adalberto ( Wojciech Tarasiuk) c’è un altro giovane prete. Non biondo e non minuto come Adalberto, ma scuro di pelle, moro, alto. Non polacco, ma indiano.
Don Manoj il nostro nuovo prete, sembra un re mago, un novello Baldassarre, che ti stritola quasi con i suoi abbracci. E come il re mago ci porta sempre i regali, ultimo una spalla che aveva vinto alla lotteria della festa annuale del gruppo. Ma ieri sera ha fatto un grande regalo a me.
Il regalo l’ho preso io, ma la scoperta della sua versatilità artistica l’ha fatta a tutti noi.
Don Manoj era vicino a me di tavola, fra me è lui c’era solo Franco . Vedevo che mi osservava. Mi sono incuriosito, ho cominciato anch’io ad osservarlo.
Infilava le dita nel bicchiere di vino e poi dopo avermi osservato sembrava se le pulisse nella tovaglia.
Ma quelle macchie cominciavano piano piano a prendere forma.
Mi sono ricordato all’improvviso di un fatto di una trentina di anni fa o più, quando ad una cena il pittore Enzo Faraoni dipinse o meglio, disegnò un cavallino con il vino e poi lò dono a mia moglie.
Ebbene Don Manoj stava facendo il mio ritratto sulla tovaglia, con le dita al posto dei pennelli, e con il vino al posto di tempere o acrilici.
Mi sono commosso.
Alla fine della cena alcuni amici hanno ritagliato per me la tovaglia con il mio ritratto. Io ho preteso che don Manoj la firmasse. Quel ritratto, ora, lo porterò sempre con me.
Grazie Manoj, artista sconosciuto, ma solo fino ad ieri sera.
……..
C’era una volta la Combriccola e ci sarà ancora, c’erano un volta i ragazzi di Don Felice e ci saranno per sempre.
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