A PROPOSITO DI COVID19 E CALCIATORI

Di Enrico Bernini  Carri

 

Ha creato scalpore e prese di posizione nette, con le ovvie critiche di prassi ,il caso dei 10 giocatori di calcio della squadra del Genova risultati positivi al tampone dopo una gara di Serie A.
A parte le prese di posizione e le conseguenti misure che il Governo intenderà prendere, cerchiamo di capire come sia potuto succedere un caso del genere (non il primo per la verità).
La maggioranza delle persone è convinta che il calcio (come altri sport dove il contatto è ravvicinato) possa rappresentare un rischio intrinseco di contagio proprio per i frequenti contatti o per gli esuberanti abbracci tra i giocatori in caso di goal.
Bene, se è vero che il calcio viene considerato uno degli sport con un rischio di contagio di livello abbastanza elevato (livello 7 su 10,non eccessivo), è anche vero che non è sicuramente il match che rappresenta il momento più pericoloso per l’infezione.
Allora quando è il momento più pericoloso per un atleta?

Già nel mese di marzo (a seguito del primo caso italiano di Covid del maratoneta lombardo), il Dott.Attilio Parisi, Rettore dell’Università dello Sport del Foro Italico e il Prof. Giovanni Di Pierri Docente di Malattie Infettive all’Università di Torino, spiegavano che a seguito di intensi sforzi fisici, l’organismo attiva una serie di processi “immunodepressivi”(ancora poco definiti nella loro complessità) che si interfacciano con una aumentata produzione di cortisolo e adrenalina (vedi fig.2).
Tutti questi meccanismi hanno pertanto l’effetto di aumentare la suscettibilità alle infezioni per un periodi variabile dalle 3 alle 72 ore chiamato “open window”(vedi figura).Quindi il momento più pericoloso per contagiarsi è il momento in cui, finito lo sforzo fisico, l’organismo attraversa la fase di “open window”, in modo particolare quando gli atleti vivono un momento di promiscuità negli spogliatoi nel dopo-partita.
Allora andrebbe prestata molto maggiore attenzione alle fasi del dopo-sforzo consentendo un opportuno distanziamento negli spogliatoi e nelle docce ed evitando gli assembramenti in quella fase. Questo spiega come mai i contagiati sono stati tutti i calciatori di una stessa squadra (Genova e prima ancora il Siena) e non i giocatori di due squadre contrapposte che si sarebbero dovute trasmettere l’infezione durante il match (a causa del contatto ravvicinato). Non si può infatti neanche spiegare il contagio (sempre possibile) a causa degli abbracci di esultanza a seguito di un goal,perchè i contagiati erano soggetti che non avevano giocato il match(in panchina).

Pertanto piuttosto che bocciare senza se e senza ma il calcio ed altri sport da contatto (sicuramente con una potenziale modesta pericolosità intrinseca), bisognerebbe adottare misure stringenti di distanziamento e di protezione negli spogliatoi e dopo sforzi fisici prolungati. Sono convinto che una maggior attenzione nella gestione della fase di “open window”, ridurrebbe significativamente il rischio di contagi di gruppo, limitandosi all’infezione del singolo atleta che avrebbe così molte meno possibilità di contagiare i compagni di squadra.

#EnricoBerniniCarri

Enrico Bernini Carri, Nato a Campobasso il 10/06/1958, residente a  Modena.
Presidente del Centro Europeo per la Medicina delle Emergenze e Catastrofi (CEMEC) – Consiglio d’Europa.
e-mail : enricoberninicarri@infinito.it