Di Marino Bartoletti
Piovigginava in quell’alba italiana l’8 ottobre del 2000. Piovigginava anche a Suzuka, lo storico circuito giapponese che l’Honda si era costruita nel giardino di casa per i suoi test e che poi, una volta assurto ad autodromo internazionale, era diventato molto spesso decisivo per l’assegnazione del titolo mondiale di Formula Uno. Ma dopo la pioggia arrivò il sole. Un sole rosso che non si alzava in cielo da ventun anni
Michael Schumacher, dopo quattro campionati di lavoro, di tribolazioni, di errori, di speranze, di vittorie riportò la Ferrari in cima al mondo della Formula Uno mandando in archivio il suo “digiuno” più lungo della storia. C’erano stati trionfi e macchie (come la famosa sportellata a Jacques Villeneuve del 1997 a Jerez de la Frontera che aveva addirittura escluso Schumi e la rossa dalla classifica finale del mondiale): ma da quel giorno cominciò soltanto la gloria. La Ferrari, lo diciamo per i più giovani, diventò la Mercedes di adesso: praticamente imbattibile per un quinquennio
Quella vittoria a Suzuka di Schumacher su Hakkinen (che tentava la conquista del suo terzo Mondiale e che per riuscirci sarebbe dovuto arrivare prima del tedesco) fu un capolavoro di bravura e di tattica: il sorpasso decisivo avvenne grazie anche a un impeccabile affiatamento fra Michael e il muretto, gestito da Jean Todt e Ross Brawn
Altri tempi, potrebbe sospirare qualcuno
Comunque, ovviamente, auguri Cavallino. Auguri grande, coraggioso Schumi
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